«Il mio violoncello ha un cuore romantico»
Intervista a Anton Mecht Spronk

A diciannove anni ha acceso i riflettori su di sé vincendo il Primo premio e due premi speciali alla Cello Biënnale di Amsterdam e con tale biglietto da visita ha conquistato ribalte titolate quali la Philharmonie di Berlino, il Concertgebouw di Amsterdam e la Carnegie Hall di New York. Oggi, che di anni ne ha ventotto, il violoncellista olandese Anton Mech Spronk è artista capace di riscuotere consensi a ogni latitudine.
A Torino, dove nel 2019 ha sbancato l’ultima edizione del Concorso Mazzacurati – aggiudicandosi il primo premio, il premio del pubblico e quello per la miglior esecuzione su segnalazione dell’OSN Rai –, debutta martedì 8 marzo (ore 20.30) in duo con il pianista Mario Häring nella Sala 500 che ospita la rassegna Lingotto Giovani, dedicata alle nuove promesse della classica.

Maestro Spronk, come si è avvicinato al violoncello e cosa ricorda delle prime lezioni con suo padre Frank?
«Sono cresciuto in una famiglia di musicisti: mio fratello maggiore suona il violino e mio padre insegnava violoncello a casa. Era inevitabile che sviluppassi una predilezione per lo strumento. Dai quattro ai dodici anni è stato lui il mio maestro: mi ha insegnato la tecnica di base, a tirar fuori la mia musicalità con naturalezza, ad abituarmi alla disciplina senza troppo rigore. Se si studia passivamente si fatica il doppio a imparare il giusto metodo».

Le vittorie di Amsterdam e Torino l’hanno imposta all’attenzione internazionale. Le competizioni sono un traguardo obbligato per emergere?
«Non tutti i giovani musicisti sono fatti per i concorsi. A volte non restituiscono il vero valore dei candidati e l’esito non è quello sperato, ma rappresentano una straordinaria opportunità per imparare rapidamente un vasto repertorio, spingersi oltre i propri limiti, esibirsi sotto pressione e fare conoscenza con altri interpreti. Ovviamente, vincere una competizione non basta ad assicurarsi un successo duraturo: è solo il primo passo».

Per un solista con una carriera costellata di collaborazioni con importanti orchestre cosa significa fare musica da camera?
«In realtà non c’è molta differenza. Un bravo solista deve saper interagire con il direttore, il primo violino e l’orchestra così come in una formazione più ristretta. È sempre una questione di comunicazione e comunione d’intenti. Cambiano semmai le sensazioni provate a ogni nuova esperienza. Al Concorso Mazzacurati ho avuto l’onore di suonare per la prima volta il Concerto in si minore di Dvořák con un’orchestra sinfonica: il sogno di ogni violoncellista! È stato però altrettanto memorabile eseguire recentemente il Concerto in re maggiore di Haydn con la Nederlands Kamerorkest al Concertgebouw di Amsterdam».

Con Mario Häring ha collaborato in altre occasioni, avete un buon feeling musicale?
«Siamo buoni amici e ci conosciamo da parecchio tempo, ma abbiamo suonato insieme per la prima volta soltanto due anni fa in Svizzera. Mario non è solo un eccellente pianista, ma anche un partner cameristico formidabile. Per questo lo scorso anno l’ho invitato al festival Eggenfelden Klassisch, che organizzo ogni estate in Bassa Baviera dal 2016».

Il vostro programma torinese affianca due Sonate fra le più alte di tutta la letteratura per violoncello e pianoforte a pezzi brevi d’uso privato scritti in origine per viola…
«Le Sonate op. 102 n. 1 di Beethoven e op. 119 di Prokof’ev condividono la stessa tonalità di do maggiore ma si collocano agli estremi della medesima stagione compositiva. La prima apre la via al Romanticismo con uno schema costruttivo di disarmante asciuttezza che non lascia spazio al minimo errore; la seconda lo rispolvera in pieno Novecento, prediligendo l’espansività melodica, dove il violoncello può effondere la sua docilità espressiva. A metà strada stanno i quattro Märchenbilder op. 113 di Schumann, delicate miniature ispirate al mondo fantastico delle leggende nordiche. Si prestano a diverse soluzioni strumentali, ma suonarle al violoncello è una sfida: è difficile eguagliare l’estensione di una viola».

Suona un Jean-Baptiste Vuillaume del 1865. Rispetto a uno Stradivari o a un Guarneri, quali sono le peculiarità del suo strumento?
«I violoncelli dei maestri liutai italiani hanno una voce profonda, calda, sontuosa, che li ha resi inimitabili. Vuillaume, che degli Stradivari e dei Guarneri fu imitatore sopraffino, realizzò strumenti con un timbro più sottile, energico, spigoloso. Il mio violoncello possiede un suono equilibrato che racchiude le qualità di entrambi».

Nel tempo libero pratica il surf e vari sport invernali. È consigliabile per un musicista?
«Certamente, praticare sport aiuta a distrarre il corpo e la mente fra un concerto e l’altro. Ovviamente, al netto dei rischi che tali attività comportano: non sono pochi i violoncellisti famosi che hanno avuto incidenti sugli sci!»

Valentina Crosetto