Ascoltare la trascrizione di un brano che si ha nelle orecchie nella sua veste originale è come avere d’un tratto l’opportunità di vedere una scultura o una costruzione architettonica da un’angolazione inconsueta che cambia equilibri e proporzioni familiari: contorni essenziali della forma si fanno sghembi, dettagli di norma seminascosti si trovano improvvisamente in primo piano, nuovi equilibri si rivelano in modo imprevisto. Questa possibilità di riscoperta attrae musicisti curiosi verso una forma di riduzione di brani sinfonici che è stata a lungo diffusa soprattutto per ragioni pratiche: nei palazzi degli aristocratici viennesi impoveriti dalle guerre napoleoniche era frequente che fossero eseguite le Sinfonie di Mozart o Schubert col solo quintetto d’archi assieme ai fiati. Un secolo più tardi, con una visione più strategica ma spinto anch’egli dalle difficoltà economiche del periodo post-bellico che rendevano insostenibili i costi di grandi orchestre, Arnold Schönberg fondò una Società per esecuzioni musicali private, connessa ai suoi corsi di composizione, nel cui ambito furono sistematicamente eseguite in apposite versioni cameristiche molte composizioni sinfoniche.
Il pianista e direttore tedesco Klaus Simon, che nel 2007 ha curato una trascrizione cameristica della Quarta Sinfonia di Mahler, dichiara di essersi ispirato proprio allo spirito dell’associazione di Schönberg e al modo in cui in quell’ambito furono realizzati arrangiamenti musicali di particolare efficacia. La delicatezza dell’operazione sta proprio nella necessità, come spiega lo stesso Simon, di «mantenere il più possibile l’inconfondibile suono orchestrale di Mahler»: se per pagine più classiche l’esecuzione cameristica riduce il numero degli esecutori in campo, ma comporta modifiche limitate alla composizione, la musica di Mahler, con la sua scrittura orchestrale variegata e complessa per organici molto estesi, richiede quasi una reinvenzione dei mezzi per ritrovare gli equilibri sonori così specifici della sua invenzione musicale. Non si tratta dunque di una versione «al risparmio», ma di un’esplorazione del linguaggio mahleriano che fornisce alle orecchie di chi suona e di chi ascolta un’angolazione inedita e rivelatrice.
Non è un caso che questa trascrizione arrivi a Torino (mercoledì 19 dicembre, Auditorium del Lingotto, ore 20.30) nelle mani di un gruppo cameristico per cui l’apertura mentale è stata un elemento cruciale fin dai suoi esordi, ormai oltre vent’anni fa, quando al Festival di Lockenhaus il violinista Gidon Kremer (per festeggiare, come scherzosamente racconta, i propri cinquant’anni) riunì ventitré giovani musicisti di talento lettoni, lituani ed estoni. Da allora la Kremerata Baltica si è dedicata, fra molte altre cose, a un’esplorazione meticolosa di capolavori riconosciuti aldilà dell’organico a cui erano originariamente destinati e dunque rivolgendosi spesso a trascrizioni che consentano di realizzare un’altra vocazione del gruppo: spingere quei brani al massimo dell’espressione individuale, anche a costo di correre rischi, e spesso in un dialogo fecondo con altri solisti e direttori.
Al Lingotto sarà Mario Brunello a dirigere l’esecuzione della trascrizione di Simon della più luminosa e innocente fra le sinfonie mahleriane, accostata all’Adagio dell’ultima e incompiuta Decima, una sorta di congedo dell’autore e insieme una confessione in musica che ne spinge all’estremo la capacità espressiva. Sarà lo stesso Kremer a guidare i musicisti nella trascrizione per archi che fece dell’Adagio Hans Stadlmair negli anni Settanta e che la Kremerata ha rielaborato. In un confronto duplice e doppiamente interessante, il programma affianca significativamente le due trasformazioni cameristiche di Mahler alla sua unica composizione da camera solo strumentale che sia giunta fino a noi, il giovanile – e, per opposte ragioni, anch’esso incompiuto – Quartetto in la minore per pianoforte, violino, viola e violoncello.
Gaia Varon