Molti contestano l’insegnamento delle lingue classiche, che secondo l’opinione dei moderni tecnocrati rappresentano un’inutile perdita di tempo per i giovani del mondo d’oggi. Leonidas Kavakos, uno dei maggiori violinisti del nostro tempo, è la prova vivente dell’assurdità, o quanto meno dell’orizzonte limitato, di questa visione. Essendo greco, Kavakos parte avvantaggiato, perché non ha dovuto imparare da zero una lingua lontana, e scritta con un altro alfabeto, ma che però sta alla radice della maggior parte delle parole importanti che adoperiamo ancora oggi nel mondo occidentale. Il greco per Kavakos è la lingua materna, quindi per lui risalire al senso profondo di parole che apparentemente sembrano semplici e lampanti è più facile.
Basta avere un po’ di curiosità e un carattere riflessivo, due qualità connaturate a Kavakos sia come persona che come artista, e si scopre che parole date per scontate nascondono invece concetti completamente diversi. Per rimanere nel campo della musica, che in greco significa arte delle Muse, e quindi comprende non solo la disciplina dei suoni ma l’insieme delle abilità degli uomini nel dare forma e bellezza alle cose, parole come ritmo e simmetria, per esempio, hanno un significato totalmente differente e molto più complesso. In greco, infatti, ritmo contiene l’idea di qualcosa che scorre in maniera misurata e proporzionata, niente a che vedere con la staticità meccanica del metronomo o il beat ossessivo della musica rock. Allo stesso modo simmetria, in origine, significa ordine e proporzione tra le parti rispetto a chi la osserva, non astratta identità delle misure.
Ciò che rende speciale il far musica di Kavakos, infatti, non è la strabiliante perfezione della tecnica, che gli ha reso possibile l’impresa quasi sovrumana di vincere a vent’anni tre concorsi internazionali come il Sibelius, il Paganini di Genova e il Naumburg di New York, bensì l’intelligenza d’interpretare la grande letteratura della tradizione in una prospettiva sempre nuova, aliena dai cliché e dalla banalità dei luoghi comuni. Questo vale sia come solista, sia come direttore d’orchestra, una sfida nuova per uno strumentista abituato a misurarsi in maniera individuale con il pubblico.
Kavakos ha imparato con una certa sorpresa che dirigere non è una parola di origine greca, ma viene dal sanscrito, e significa stare eretti, anche moralmente, di fronte agli altri. Nel caso dell’orchestra, dirigere equivale a confrontarsi con una massa di musicisti, ciascuno con la propria storia e la propria sensibilità, che va guidata in breve tempo e con pochissime parole verso un obiettivo comune.
Eraclito e Platone, come sempre, hanno aiutato Kavakos, che ha capito in fretta un concetto che non gli era familiare, e ha saputo infondere alla musica di Mozart e di Beethoven anche con la bacchetta, oltre che con l’archetto, la sua visione dinamica e flessibile, aperta e propositiva del ritmo e della simmetria.
A Torino potremo apprezzare Leonidas Kavakos alla guida della Chamber Orchestra of Europe venerdì 5 aprile 2019 (Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto, ore 20.30), per la stagione di Lingotto Musica.
Oreste Bossini