I migliori anni della nostra vita dietro le quinte.
Intervista al regista Luca Scarzella

Prese alla sprovvista dalla pandemia e stordite nella prima fase del lockdown per l’improvvisa perdita di punti di riferimento, le istituzioni musicali stanno lentamente prendendo le misure della nuova situazione e cominciano a elaborare delle strategie alternative alla tradizionale forma del concerto per rimanere vicine al proprio pubblico.
Lingotto Musica, per esempio, ha prodotto una serie di appuntamenti web interdisciplinari tra letteratura e musica curati da Alessandro Baricco e dalla pianista Gloria Campaner, I migliori anni della nostra vita, di cui abbiamo già parlato (cfr. intervista a Gloria Campaner di Valentina Crosetto).
La sfida di questa iniziativa era anche di elaborare un progetto musicale che non fosse semplicemente documentato dalla ripresa visiva, bensì raccontato in una forma diversa, tenendo conto dello specifico linguaggio delle immagini. Per questo è stato coinvolto nel progetto il regista Luca Scarzella e la sua équipe di Studio Vertov: «Tutto nasce dalla collaborazione avviata già da qualche tempo con Gloria Campaner, che desiderava qualcosa di diverso dalla mera ripresa delle sue esecuzioni. Insieme abbiamo registrato diversi progetti musicali, come per esempio la Suite bergamasque di Debussy e Vers la flame di Skrjabin, dove ho potuto sperimentare da vicino forme diverse di raccontare filmicamente la musica. In questo caso, però, il progetto era ancora più articolato, perché l’idea di Alessandro Baricco e di Gloria era di riunire in un unico discorso due linguaggi differenti come la letteratura e la musica, una sfida davvero affascinante».

Il suo compito era di costruire una forma capace di contenerli entrambi, e di renderli visivamente comunicativi. Da dove è partito?
«Il primo pensiero è stato di coinvolgere lo spazio del Lingotto, in maniera che fosse un elemento organico del progetto. Abbiamo capovolto il punto di vista, rivolgendo le videocamere verso la platea vuota, priva del pubblico ma allo stesso tempo perfettamente espressiva del momento che stiamo vivendo. Su questo sfondo, che definisce il pubblico di Lingotto Musica al quale ci stiamo rivolgendo, si alternano le letture di Baricco e i diversi momenti musicali, che coinvolgono oltre a Campaner altri musicisti, come il violoncellista Enrico Dindo, il violinista Sergej Krylov e il clarinettista Alessandro Carbonare. Un altro elemento importante è la scelta dell’illuminazione. Non volevo una luce diffusa di tipo televisivo, bensì un’illuminazione teatrale, piuttosto sagomata sulle persone, che comunica un senso d’intimità».

Nel video si vede anche una sorta di scenografia…
«Bisognava trovare qualcosa che legasse letteratura e musica, e che s’integrasse con l’ingombrante presenza del pianoforte sul palcoscenico. Al mio datore luci è venuta in mente una scenografia realizzata da Atir Teatro Ringhiera, formata da pile di fogli di carta bianca, che si poteva modulare sul palcoscenico creando uno spazio espressivo sia per le letture, sia per la musica, circondando lo spazio degli strumenti».

Come avete lavorato per le riprese?
«In sintesi, per ciascuna puntata abbiamo organizzato due sessioni di riprese, che in gergo si chiamano take. Nel primo take ci siamo concentrati soprattutto sull’esecuzione musicale, con riprese ravvicinate sugli strumenti e sulle mani, curando soprattutto la qualità dell’audio. Su questa base, che potremmo definire la colonna vertebrale del video, s’innestano le immagini di un secondo take, in cui le sei camere che abbiamo impiegato avevano modo di indugiare su altri elementi, come primi piani dei volti, dettagli della sala, campi larghi eccetera. Il problema è che a volte i musicisti erano più soddisfatti dell’esecuzione ripresa dal secondo take, e non sempre era facile accontentarli inserendo a fil di piombo il frammento da sostituire!»

Avete lavorato molto in postproduzione?
«Come dicevo, inserire immagini esterne in un flusso musicale è sempre molto laborioso e a volte addirittura impossibile. Ma c’è un altro aspetto che ho voluto sperimentare, con molto rispetto e prudenza. Ogni puntata, infatti, è caratterizzata dalla scelta di un viraggio di colore particolare, cercando con molta delicatezza di abbinare una tinta cromatica alle varie musiche eseguite. Senza pretendere di stabilire delle sinestesie tra musiche e colori, ho cercato di definire ciascun incontro grazie a una luce particolare. La musica romantica di Brahms, per esempio, la sentivo rossa, quella di Messiaen invece bianca. Non è così, forse?».

Oreste Bossini