Il Quartetto Eos apre Lingotto Giovani 2022: un’Aurora davvero promettente.

Il 25 gennaio 2022 alle ore 20.30, presso la Sala 500 del Lingotto, la rassegna Lingotto Giovani ospita il Quartetto Eos, composto da quattro giovani musicisti italiani – Elia Chiesa, Giacomo Del Papa, Alessandro Acqui e Silvia Ancarani –, che nel giro di pochi anni ha conquistato pubblico e critica. Partner dell’impresa culturale Le Dimore del Quartetto, il gruppo ha vinto il Premio Farulli nell’ambito del Premio della Critica Musicale Franco Abbiati 2018, si è distinto in diversi concorsi nazionali e internazionali, si esibisce per importanti rassegne concertistiche ed è in procinto di pubblicare un cd per la Da Vinci Records.

Abbiamo raggiunto telefonicamente Giacomo Del Papa, secondo violino della formazione.

Maestro Del Papa, come è nato il vostro Quartetto?
«Il violista, la violoncellista ed io ci siamo conosciuti nel 2016 all’interno del Conservatorio di Santa Cecilia a Roma perché suonavamo insieme nella classe di Quartetto. Poi ci siamo persi di vista per un anno, ma io continuavo a perseguire l’obiettivo di creare un quartetto d’archi. Così, durante una ricreazione in quinta Liceo, ho chiamato il mio collega Elia Chiesa, mio compagno di classe di violino in Conservatorio, che conosceva già Silvia Ancarani, e gli ho proposto di formare un quartetto con questa squadra. Da lì è iniziato il nostro percorso».

E il nome?
«Lo abbiamo scelto pensando al Quartetto «l’Aurora» di Haydn, che abbiamo studiato; Eos è la divinità greca dell’aurora».

Suonare in un quartetto d’archi, formazione da camera per eccellenza, implica un grande affiatamento tra i musicisti. Con quale frequenza vi trovate per provare?
«Adesso viviamo a Lucerna, dove stiamo terminando un master di musica da camera presso la Hochschule con Isabel Charisius, ed è il primo anno in cui ci vediamo ogni giorno. A Roma, tra gli impegni di scuola, università e conservatorio, riuscivamo a vederci circa tre, quattro volte a settimana. È stato un cambio radicale, anche a livello umano: vivendo all’estero, trascorriamo più ore tra di noi che con le nostre famiglie!»

Suppongo che il Premio Farulli del 2018 sia stato importante per l’avvio della vostra carriera…
«Sì, certo: suonavamo insieme solo da un anno e mezzo circa – allora frequentavamo l’Accademia Stauffer di Cremona – e non ci aspettavamo un tale riconoscimento dopo così poco tempo. Al di là delle opportunità concertistiche che ne sono derivate, questo premio ci ha spinto a lavorare insieme a tempo pieno, a trasformare lo studio in lavoro. Un secondo step importante per la nostra crescita è stato il primo premio all’Orpheus Competition di Winterthur nel 2020: la preparazione intensa e la conseguente vittoria sono la dimostrazione che il lavoro che stiamo facendo paga».

Che ci dice sul vostro repertorio e sulla scelta del programma della serata?
«Vi è un repertorio che la maggior parte dei quartetti d’archi deve avere a disposizione perché richiesto nei concorsi internazionali. Noi lo stiamo preparando per il Concorso Mozart di Salisburgo; siamo uno degli otto quartetti selezionati. Siamo concentrati sulla preparazione di nove brani obbligatori, e i Quartetti op. 51 n. 2 di Brahms e n. 6 Sz. 114 di Bartók costituiscono la seconda prova; abbiamo quindi pensato che sarebbe stato importante eseguirli a Torino. Quello di Bartók è uno dei quartetti che si avvicinano di più alla nostra sensibilità artistica, insieme all’ottavo di Šostakovič e alla «Sonata a Kreutzer» di Janáček».

Ci parli della sua esperienza in qualità di attore nella seconda stagione della serie televisiva RAI La Compagnia del Cigno. Ha influito sulla sua professione di musicista?
«È stata una parentesi bellissima della mia vita e del mio percorso di studi, ma soprattutto del mio percorso di crescita. L’occasione è nata per caso, rispondendo a un annuncio, ma la decisione è stata dettata soprattutto dall’esigenza di crescere, di superare il timore della telecamera, del parlare in pubblico, del trasferire agli altri le mie emozioni. Sia in ambito attoriale che musicale ci troviamo davanti a un pubblico a cui cerchiamo di trasmettere qualcosa: in un caso con la voce, nell’altro con la musica. Ho notato i benefici di questa esperienza solo dopo averla terminata e ora ho un maggior controllo delle emozioni. È un’esperienza che consiglio a chiunque!».

Vuole lanciare un messaggio ai giovani che si avvicinano al mondo del concertismo o a coloro che iniziano lo studio della musica classica al giorno d’oggi?
«Per mia esperienza personale l’importante è seguire le proprie passioni. Non ho mai forzato per raggiungere gli obiettivi, è sempre stato tutto molto naturale. Credo che chi vuole diventare musicista debba avere la sensazione che quello che sta facendo sia la cosa giusta. Così è stato per me, a prescindere dai risultati, dalle sofferenze, ma anche dai traguardi che man mano raggiungevo. La musica è una esperienza totalizzante, il raggiungimento di una ricchezza interiore. È un dono che porgiamo agli altri».

Donatella Meneghini