«Un direttore dalla vera energia musicale con una mente altamente originale e indagatrice». Così Reijo Kiilunen, fondatore dell’etichetta Ondine Records, definisce Robert Trevino, il giovane direttore d’orchestra texano con cui ha recentemente stilato un contratto per la registrazione delle Sinfonie beethoveniane insieme alla Malmö Symphony Orchestra, oltre che di brani tratti dal repertorio americano con la Basque National Orchestra, l’altra delle due compagini di cui Trevino è attualmente direttore principale.
Il pubblico torinese avrà il privilegio di gustare dal vivo un “assaggio” dell’importante corpus beethoveniano oggetto dell’operazione discografica – la gioiosa Settima sinfonia, eseguita dalla stessa orchestra svedese – nel concerto del 4 febbraio (Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto, ore 20,30) per la stagione dei Concerti del Lingotto. Oltre a Beethoven, la serata vedrà l’esecuzione del Concerto per violino op. 77 in di Johannes Brahms con Alena Baeva in qualità di solista.
Trevino sale sul podio del Lingotto per la prima volta, ma in realtà Torino ha già avuto il piacere di ospitarlo la scorsa stagione alla guida dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Nato nel 1984 a Fort Worth, appartiene alla generazione di giovani direttori d’orchestra molto stimati e richiesti: sa catturare pubblico e musicisti con la sua figura carismatica, contrassegnando le sue esecuzioni con un’impronta decisamente personale. È uno di quei personaggi bramosi di conoscenza e di musica, votati alla continua scoperta e alla costante volontà di mettersi in gioco, che ci attirano con sé nei meandri della partitura rendendoci partecipi di tutte le sottigliezze, le raffinatezze e i giochi strumentali di cui è composta; fatto che rende le sue esecuzioni particolarmente apprezzate per l’intensità interpretativa e per la precisione tecnica, oltre che per la cura rivolta ai dettagli e al suono orchestrale.
La posizione di direttore principale delle due orchestre citate non è che l’ultimo tassello di una lunga lista di esperienze direttoriali, che va dall’occasione che lo ha reso celebre – al Teatro Bol’šoi di Mosca nel dicembre 2013 quando ha sostituito, con grande successo, Vasilij Sinajskij nell’esecuzione del Don Carlo verdiano – a oggi, in un continuo spostamento da un continente all’altro: dalla London Symphony Orchestra alla Münchner Philharmoniker, dalla Cleveland Orchestra a Santa Cecilia, dalla San Francisco Symphony alla sinfonica di San Paulo, per citarne solo alcune.

Trevino ha studiato con David Zinman all’Aspen Music Festival and School conseguendo il James Conlon Prize for Exellence in Conducting, e con Michael Tilson Thomas; è stato assistente di Seiji Ozawa, di Leif Segerstam, e direttore associato alla New York City Opera e alla Cincinnati Symphony Orchestra. E ora eccolo a dirigere quel capolavoro tanto amato da Beethoven stesso, la Settima sinfonia, apostrofata con la celeberrima espressione wagneriana «l’apoteosi della danza» e stilisticamente descritta da Paul Bekker come «la danza nella sua essenza superiore, l’azione felice dei movimenti del corpo incarnati nella musica».
La Settima è un concentrato di incredibile vitalità ritmica che la pervade da capo a fondo e che si placa momentaneamente solo nell’Allegretto, una sorta di parentesi dalla morbida cantabilità, che vede comunque nell’elemento ritmico-metrico (l’alternanza dattilo-spondeo) il motore che lo sostiene. È uno di quei brani con cui il pubblico entra immediatamente in sintonia: ne fu richiesto il bis già in occasione della prima esecuzione, avvenuta l’8 dicembre 1813, nel concerto organizzato da Johann Mälzel (considerato l’inventore del metronomo) presso l’Università di Vienna in favore dei soldati austriaci e bavaresi feriti nella battagia di Hanau.
Autore co-protagonista a completamento del programma non poteva essere che Brahms, legato a Beethoven da un sentimento di ammirazione misto a soggezione. Un legame-discendenza anche dal punto di vista stilistico, come dimostra il Concerto op. 77 in programma, che si rifà al beethoveniano Concerto per violino op. 61, anch’esso in re maggiore, che Brahms definiva il Concerto «di Joachim» per la profondità di interpretazione del celebre violinista. Brahms era legato da profonda stima e amicizia a Joseph Joachim, che era per lui anche un prezioso consulente: gli dedicò il Concerto op. 77 per la profusione di consigli e suggerimenti che gli fornì durante la composizione, in un continuo scambio di idee sulle esigenze compositive e sui limiti tecnico-esecutivi. A Joachim fu riservato il ruolo di solista nella prima esecuzione al Gewandhaus di Lipsia il 1° gennaio 1879.
A presentare questo brano di estrema bravura tecnica e allo stesso tempo impregnato di una moltitudine di idee melodiche di ampio respiro, al fianco di Robert Trevino ci sarà la giovane Alena Baeva, violinista dalla tecnica impeccabile e dal temperamento travolgente, formatasi alla grande scuola violinistica russa e perfezionatasi in Francia con Boris Garlitsky. Composto anch’esso in un periodo di serenità creativa, il Concerto condivide con la Sinfonia beethoveniana la festosità dell’ultimo movimento: un brillante rondò dove un tema “all’ungherese” è oggetto di dialogo tra il violino trattato “alla zingaresca” e l’orchestra. Un finale virtuosistico, grandioso, coinvolgente.
Donatella Meneghini