Dai bassifondi di Buenos Aires allo splendore delle sale da concerto, il tango è probabilmente la danza che nel corso del Novecento ha coperto il più ampio orizzonte di situazioni musicali. Nato alla fine dell’Ottocento, il tango è stato da sempre un fenomeno tipicamente urbano, basato sulla mescolanza tra influssi e culture differenti. Vi si ritrovano danze come la milonga, la habanera, il candombe, radici argentine e uruguayane, uno strumento divenuto tipico, il bandoneon, che era nato in Germania e autori immigrati dall’Europa, per lo più italiani, ai quali si sono aggiunti più tardi autori emigrati per il mondo, o in esilio, che hanno trasformato il tango in una danza senza più confini. L’impronta argentina è rimasta nello stile del ballo e nell’iconografia, in gran parte basata sul cinema di Carlos Gardel, ma prima ancora che Astor Piazzolla lo imponesse sulla scena internazionale il tango era già diventato, grazie alla sua popolarità fuori dal Sudamerica, anche una musica da teatro e da concerto. Erik Satie ne inserì uno nel ciclo di pezzi per pianoforte Sports et divertissements, del 1914. Kurt Weill ne scrisse uno famosissimo per l’Opera da tre soldi nel 1928 e uno meno noto, ma molto bello, per un Lied con pianoforte in lingua francese, Youkali, datato 1934. Un giovanissimo Sostakovic aveva inserito questa danza in un balletto, L’età dell’oro, che vale quindi come prima apparizione del tango nella sua musica, mentre quello di Igor Stravinskij risale al 1940, almeno nella versione per pianoforte che precede di un decennio il lavoro di orchestrazione.
Non c’è, come si vede, soltanto il ballo, ma una musica che è stata capace di guadagnare spazio, credibilità a fascino al punto da poter essere definita come il “valzer del XX secolo”. Gardel è stato la voce del tango, e l’autore di pagine meravigliose, oltre che protagonista degli anni ruggenti del tango insieme a personaggi illustri come Mariano Mores, musicista autentico e senza etichette. Piazzolla è stato l’inventore di una forma-tango da concerto, oltre che la massima espressione compositiva di un tango legato tanto alla tradizione argentina quanto a quella della scrittura classica, come testimonia l’impianto meravigliosamente barocco delle Cuatro estaciones porteñas. Ma è importante anche che un giovane compositore argentino, Diego Collatti, abbia avuto l’iniziativa di proseguire questa storia riallacciandosi proprio a Gardel e orchestrandone alcune canzoni, fra le più celebri, in una versione mai eseguita prima in Italia e affidata alla voce del tenore Fabio Armilliato, con l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, la direzione di Giuseppe Grazioli e il bandoneon di Davide Vendramin.
Un altro compositore delle generazioni più recenti, Osvaldo Golijov, nato in Argentina ma a tutti gli effetti cosmopolita, è autore di Azul, l’altro brano legato al tango in prima esecuzione italiana, stavolta con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Stanislav Kochanovsky e il violoncello di Enrico Dindo. In questo brano spettacolare Godijov assume il tanto come matrice espressiva, ma non ne fa un oggetto di raffigurazione e tantomeno di rievocazione. Non era questo, d’altra parte, il modo in cui Brahms aveva trattato la Passacaglia? Nell’ascoltare la Sinfonia n. 4, che si fonda ampiamente sul basso della Passacaglia sottoposto a continue variazioni, nessuno pensa realmente alla natura della danza spagnola che era nata più di due secoli prima, e che già dai tempi di Bach era diventata uno schema per l’invenzione musicale. Questo è il destino a cui va incontro anche il tango nel brano di Golijov, e a cui in fondo va incontro tutta la musica quando dissemina la sua potenzialità creativa.
Stefano Catucci