Quattro paesaggi è albe e sere e notti, mondi bucolici e ambienti urbani, luoghi descritti o immaginati; è sapienza evocativa e narrativa di musica che ha più di un secolo oppure un’età che si misura in mesi; è l’energia particolare generata dalla miscela di curiosità, freschezza e talento di una splendida orchestra giovanile guidata da un direttore con un orecchio affinato sulla musica di Novecento e dintorni e affiancata da un solista di gran classe. «Quattro paesaggi» è il titolo del concerto che inaugura la nuova edizione di MITO confermandone la vocazione al piacere di fare e ascoltare musica anche nuovissima con programmi legati da un filo che quest’anno è musica e natura.
Natura è un paesaggio boemo, descritto attraverso le emozioni di un immaginario viaggiatore dal sorgere del sole fino alla profondissima quiete di una notte estiva nell’ouverture da concerto di Antonin Dvorak, Nel regno della natura (1891). È l’alba incantata di una «Grecia dei sogni che volentieri si congiunge alla Grecia che hanno immaginato e dipinto gli artisti francesi della fine del XVIII secolo», come la descrive Maurice Ravel, l’Arcadia chimerica e sensualissima di cui il compositore fa quasi percepire i profumi nel suo balletto del 1912 Daphnis et Chloe. L’effervescenza ritmica in cui si incontrano vecchio e nuovo mondo è invece il cuore del paesaggio urbano dell’America di quegli stessi anni in cui ci porta George Gershwin con il Concerto per pianoforte e orchestra.
Per il suo This Midnight Hour, Anna Clyne, trentasettenne inglese trapiantata da qualche anno negli Stati Uniti e fra i più vivaci talenti compositivi del nostro tempo, trae ispirazione dall’immagine potentissima di una poesia dello spagnolo Juan Ramón Jiménez, «Musica – Donna nuda che corre disperatamente nella notte pura», e da Harmonie du soir di Baudelaire con due versi, ambedue ripetuti, l’uno che descrive la sera come un valzer maliconico, l’altro che evoca un violino che freme come un cuore afflitto. Il brano, un movimento unico di circa dodici minuti, procede quasi come un montaggio, ricco di inventiva e dalla drammaturgia sottile, momenti tempestosi e talvolta sinistri si alternano con una velata melodia nostalgica, con una scrittura strumentale ricercata, ricca di colori, che gioca a tratti col suono della fisarmonica, quasi un’eco dell’immaginario valzer baudelairiano suonato da un’orchestrina popolare.
Gaia Varon