Gioco di squadra per il Messiah
Intervista ad Antonio Florio

La prima assoluta del Messiah di Händel a Dublino nel 1741 fu un evento eccezionale, non solo perché registrò un enorme successo ma anche perché la sua esecuzione richiese la collaborazione di tre enti musicali diversi: l’Ensemble di Stato di Dublino, il coro della Chiesa Cattolica di Cristo e quello della Cattedrale Anglicana di St. Patrick.
L’esecuzione torinese del 17 dicembre prossimo non sarà da meno, poiché vedrà unire le forze di quattro fra le più importanti istituzioni musicali piemontesi che si occupano di musica antica e che, dal 2017, danno vita alla rassegna Intrecci barocchi: l’Academia Montis Regalis, l’Accademia Corale Stefano Tempia, l’Associazione I Musici di Santa Pelagia e l’Associazione Accademia Musicale Ruggero Maghini. Il concerto, che porrà il suggello conclusivo al festival internazionale di musica barocca Back to Bach, sarà condotto dal maestro Antonio Florio, uno specialista di questo repertorio. Il maestro Florio, infatti, non solo collabora con numerose istituzioni, ma è il fondatore e il direttore dell’ensemble Cappella della Pietà de’ Turchini (oggi Cappella Neapolitana) nato nel 1987.

Maestro Florio, lei dirigerà l’ultimo appuntamento di Back to Bach, festival che ha incluso nella sua agenda l’esecuzione della Passione secondo Giovanni di Bach a cura dell’Accademia Musicale Ruggero Maghini. Vede dei punti di contatto tra le passioni di Bach e gli oratori di Händel?
«Le differenze sono molteplici, anche a livello stilistico e testuale, ma entrambi hanno una grande forza drammatica, una grande intensità emotiva. In più, quella di Händel, come quella di Bach, è una scrittura musicale assai sapiente da un punto di vista armonico; le loro armonie sono più complesse rispetto a quelle degli autori italiani. Nello specifico, la partitura del Messiah è ricca di settime e di ritardi, che possono, a secondo del punto dove vengono utilizzati, dare alla musica una maggior carica drammatica o espressiva».

Il successo di Intrecci barocchi e di Back to Bach sono l’ennesima dimostrazione dell’interesse crescente verso il barocco, sbocciato ormai qualche decennio fa. Come descriverebbe il pubblico che si appassiona a questo repertorio?
«Il pubblico della musica barocca è interessato a tutto, non solo ai grandi classici, ma anche a un repertorio che prima era molto più complesso da proporre, come per esempio la musica sacra o gli inediti del Seicento e del Settecento. È un pubblico molto attento, curioso, che recepisce moltissimo, forse è anche più preparato».

 Si dice spesso che la classica attiri maggiormente gli ascoltatori maturi. Questo vale anche per il barocco?
«Quello della musica barocca è soprattutto un pubblico giovanile, come quello della contemporanea. I giovani desiderano molto ascoltare questi pezzi. Ne ho avuto prova col successo che abbiamo avuto al Teatro Regio di Torino con L’Orfeo di Monteverdi. Purtroppo, molti grandi teatri sono eccessivamente prudenti nei confronti di questo repertorio, quando invece potrebbe essere una risorsa per ringiovanire il pubblico».

Tra tutti i capolavori barocchi, il Messiah è forse quello che gode del successo più duraturo perché dopo la sua prima esecuzione non ha mai smesso di essere eseguito ed applaudito. Lei come lo spiega?
«Come si spiega il successo di Bohème, di Carmen o di altre opere! Hanno tutte un orologio interno straordinario, nel senso che sono costruite senza momenti di stanchezza, con una perfetta sincronia tra testo e musica. Per questo sono dei capolavori. Il Messiah, poi, è una delle punte massime di tutta la produzione händeliana: i cori sono straordinari, forse sono tra i più belli che abbia scritto Händel, e non parlo solo dell’“Alleluja”! Ce ne sono tantissimi». 

A proposito dell’“Alleluja”, questa è una delle pagine che il pubblico aspetta con maggior impazienza. Ce n’è qualcuna a cui lei sia particolarmente affezionato?
«Ce ne sono tantissime! Tra i brani solistici ce ne sono alcuni fantastici, ma, come dicevo, soprattutto i cori sono qualcosa di straordinario. Ce n’è uno in particolare che mi piace tanto, non è molto famoso, tuttavia qui la scrittura di Händel è straordinaria perché c’è una struttura contrappuntistica molto complessa. Si tratta di “Let us break their bonds asunder”, che si trova poco prima dell’“Alleluja”: qui Händel usa accordi complessi per stimolare il dolore e la tensione, un po’ come succede anche nella musica della scuola napoletana. I momenti di questo tipo mi piacciono molto, ma nel Messiah non trovo nulla che sia fuori posto!»

Liana Püschel