Giovani passi sulla strada sicura di Francesco Cilluffo

Tutta la città ne parla. O almeno quella, mica son pochi, che di musica ne sa. C’è grande attesa per il ritorno a Torino di Francesco Cilluffo, bacchetta in fuga da ormai 15 anni, tanti sono quelli trascorsi dal suo diploma in composizione e in direzione d’orchestra al “Verdi” di via Mazzini, e dalla sua laurea all’Università di via Sant’Ottavio. E poi Londra, per un master alla Guildhall School e un dottorato al King’s College. E poi la gavetta sul podio, un po’ ovunque in Europa. E poi gli States (anche in veste di compositore) e il Medio Oriente (l’Israeli Opera l’ha chiamato più volte).
E poi, da italiano, la terra più difficile da conquistare, l’Italia, invitato da orchestre ma soprattutto da teatri d’opera: Firenze, Genova, Parma, Milano (qui, per ora, con l’AsLiCo). Il suo ritorno a Torino è per un progetto speciale di MITO SettembreMusica, con un doppio concerto che vede le due città alleate anche sotto il profilo dell’organico orchestrale, inedito, nutrito dei migliori allievi dei due Conservatori. Ne parliamo all’indomani di una gratificante recensione del Financial Times su Isabeau di Mascagni, che sta dirigendo a Londra, all’Opera Holland Park.

Maestro Ciluffo, ha avuto esperienze similari con orchestre “in formazione”? Più gli oneri o le opportunità nel lavorare con i giovani?
«Ho avuto bellissime esperienze con l’Orchestra degli allievi del Conservatorio “Arrigo Boito” al Teatro Regio di Parma nel 2014, e prima ancora con gli allievi dell’Accademia Galina Višnevskaja di Mosca nel 2013. La chance di lavorare con un’orchestra “in formazione” è sempre arricchente per un direttore in carriera, e tendo a vederla come una doppia opportunità: per i ragazzi, che si confrontano con un modo di lavorare che li chiama ad essere non solo allievi ma musicisti professionisti; e per il direttore, perché è sempre utile lavorare con un’orchestra che suona senza mediazione, reagendo “istintivamente” al gesto che vede. A forza di essere abituati alle grandi compagini professionali c’è il rischio di dare per scontate molte cose del nostro lavoro, trascurandole, ed è invece bello ricordarsi che il far musica insieme è una conquista quotidiana e un percorso di conoscenza che parte dalla chiarezza della comunicazione. Come nella vita e nei rapporti affettivi, penso sia importante ritornare ogni tanto alle proprie origini, e rilanciare ancora più in là l’orizzonte di dove si vuole arrivare, come parte della stessa squadra».

Il programma, improntato allo stile “francese”, è molto dinamico: si passa da brani con un alto grado di articolazione a composizioni dove serve una grande continuità di suono, come nelle due struggenti Pavane.
«Il programma mette molto bene in luce la duttilità di una formazione strumentale, che può passare dalle geometrie danzanti di Rameau al mondo tardo-romantico e impressionista di Fauré e Ravel. In particolare penso che sarà bello lavorare con un “suono giovane” su Fauré, autore che spesso viene sottovalutato ma che ha scritto pagine complesse e raffinate, se pensiamo alla suite per il Pelléas et Mélisande e all’opera Pénélope. È importante trovare, specie con orchestre giovanili che affrontano questo repertorio per la prima volta, un fraseggio, un suono particolare e un senso di “rubato” naturale, che facciano sentire la musica oltre le note e “tra le note”, come soleva dire Kusevickij ai suoi allievi.
A Torino poi, con Ravel mi sembra veramente di tornare alle origini, perché la prima grande partitura che ho diretto fu proprio Ma Mère l’Oye di Ravel, con l’Orchestra degli allievi del Conservatorio».

Parlando di danza, tema dell’edizione 2018, si tratta di un fenomeno che nei secoli, per quanto riguarda la musica “colta”, si è allontanato abbastanza rapidamente dall’uso concreto e immediato del ballo per privilegiare la fruizione distaccata, mediata dello spettatore/ascoltatore, tutto orecchie e terga inchiodate alla poltrona. Chi sta sul podio pensa a queste musiche come se dovessero essere danzate o più o meno come qualunque musica “pura”?
«Anche quando la musica è diventata danza astratta, questa sinergia del tradurre il movimento dallo spazio al suono e alla forma musicale ha trovato forme nuove che hanno saputo affascinare sia sul palcoscenico, con il balletto, sia nella sala da concerto. Non credo che sia necessario un approccio interpretativo particolare e distinto nel dirigere musica pensata per la danza (o anche per la danza), ma penso che si debbano considerare il timbro e il colore orchestrale parametri tanto importanti e “danzanti” quanto il ritmo, che si associa istintivamente al movimento del corpo. In questo senso, la presenza di Fauré e Ravel nel programma (e anche di Casella, che ebbe una formazione internazionale) vuole mettere l’accento sul lato tipicamente francese dell’utilizzo del timbro come elemento narrativo e non solo di “atmosfera”. Penso a quanto l’impasto timbrico sia centrale in partiture nate per la danza e che oggi sono considerate pietre miliari del repertorio concertistico: dall’ovvio caso del Sacre di Stravinskij a Jeux di Debussy, Le Création du Monde di Milhaud e, perché no, le Symphonic Dances from West Side Story di Bernstein.
In un certo senso noi direttori siamo di fatto una sorta di emanazione del maestro di ballo seicentesco, che aveva un lungo bastone per dare il tempo alle danze. Quindi tutto torna nel tema del festival di quest’anno. Ma con un monito finale a usare la bacchetta con attenzione: infatti il povero Lully, mentre dirigeva per il Re Sole, morì per essersi ferito il piede con… le baton!».

Simone Solinas

martedì 18 settembre 2018
Conservatorio Giuseppe Verdi
ore 17

GIOVANI PASSI

Orchestra degli studenti dei Conservatori di Milano e di Torino
Francesco Cilluffo direttore

Jean-Philippe Rameau
Suite n. 1 da Dardanus

Maurice Ravel
Pavane pour une infante défunte

Alfredo Casella
Toccata, Bourrée e Giga

Gabriel Fauré
Pavane
Masques et bergamasques