La Nona dei ragazzi per riattivare lo stupore

Nel suo libro Le sorgenti della musica, uscito postumo nel 1962, l’etnomusicologo tedesco Curt Sachs riferisce un episodio che ha acquisito, da allora, una certa notorietà. L’amico musicista e ricercatore Yury Arbatsky, nel 1953, aveva condotto con sé a Belgrado un prominente musicista popolare albanese ad ascoltare in concerto, per la prima volta, la Nona di Beethoven. Arbatsky gli chiese poi se gli fosse piaciuta ma l’uomo era stato reticente, evasivo, e solo dopo due bicchieri di Sljivovica se ne uscì con una risposta strabiliante: “bella, sì, ma molto, veramente troppo piatta”». Il cantore albanese, commenta Sachs, non era stato «né incompetente né arrogante», giudicava secondo «un altro standard» e per le sue «orecchie orientali», abituate all’irregolarità del ritmo, la Nona era squadrata, prevedibile, frustrante.

Sachs riportava questo episodio per rafforzare la sua tesi di fondo: la musica, contrariamente a un radicatissimo luogo comune, «non è un linguaggio universale». Qui, però, possiamo riportare alla memoria il giudizio del cantore albanese in un’altra prospettiva, più vicina alla società globale nella quale viviamo. Il nostro rapporto con la musica nasce infatti da uno stupore originario, da una forma di apertura, di scoperta e di entusiasmo che tuttavia sembra essere già sempre alle nostre spalle, come un’esperienza acquisita ma dimenticata, e che possiamo forse ricostruire solo riandando al tempo dell’infanzia, a quella condizione che Elémire Zolla definiva la «premessa gloriosa e tradita dell’esistenza». Come riattivare l’incanto dell’infanzia, come ritrovarlo specificamente nella musica e attraverso la musica? Molte delle attività di formazione di base nate negli ultimi trent’anni hanno puntato sulla meraviglia del “fare”: l’arte, ha scritto l’antropologa americana Ellen Dissanayake, non è solo acquisizione passiva e conoscenza, ma è un’azione che impegna la mente e le mani. Fare musica insieme è sempre una scoperta ed è qualcosa di felicemente contagioso. Diventa occasione di crescita, di integrazione e di emancipazione nei cori, nelle orchestre giovanili, in quelle formate da ragazzi o addirittura da bambini nei programmi formativi di base.

L’entusiasmo e la freschezza sono ora quel che ci si aspetta quando un direttore giovane, ma già esperto come Daniele Rustioni, viene messo alla guida di solisti e complessi giovanissimi per affrontare un colosso del repertorio. Anche se l’Orchestra Giovanile Italiana, nata pionieristicamente alla Scuola di Fiesole nel 1980, è composta da musicisti già avviati alla professione ad alto livello, si tratta pur sempre di una formazione di ragazzi determinati a non tradire la «premessa gloriosa» dello stupore e dell’incanto. Con loro sarà possibile ascoltare la Nona di Beethoven liberandosi dal fardello di modelli interpretativi con cui confrontarsi, come se esistesse solo quel momento di scoperta e di rivelazione, come se per paradosso fosse di nuovo, per tutti noi, una prima volta.

Stefano Catucci