L’universo sonoro del Kronos Quartet

Dopo l’ultimo avvicendamento – quello che ha visto entrare la violoncellista Sunny Yang nel 2013 a far parte dell’ormai celebre e celebrato quartetto – il Kronos Quartet prosegue a gonfie vele il viaggio iniziato nell’ormai lontano 1973. David Harrington propose allora a Johns Sherba, Hank Dutt e a Jean Jeanrenaud (che lascerà la compagine nel 1999) un progetto che aveva davvero qualcosa di speciale. Far sì che la più nobile tra e formazioni cameristiche, il quartetto d’archi, quella per la quale i compositori da Haydn in poi hanno scritto i loro capolavori, impegnandosi spesso al limite delle loro capacità, potesse avventurarsi in territori che quel tipo di formazione e quel tipo di repertorio non lo avessero mai, o quasi mai, incontrato.

Certo, avevano le spalle coperte. Siamo agli inizi degli anni Settanta e Gunther Schuller aveva lanciato la sua Third Stream – un mix sapiente e affascinante di jazz e classica già a partire dal 1957. Una corrente cui in certo senso il Kronos riconoscerà i meriti, dedicando un album ad uno dei suoi maggiori protagonisti: il pianista e compositore Bill Evans. E poi siamo in piena era del prog, un momento in cui, tanto per citare un caso, gli Emerson, Lake & Palmer andavano suonando e incidendo pezzi come Quadri di un’esposizione, o le composizioni di Copland e Ginastera. Insomma, Harrington non aveva che da guardarsi intorno e fare col suo quartetto classico quello che, in altri ambiti, stavano facendo jazzisti e rockettari. Senza dimenticare quel Novecento storico (Bartók, Webern, Lutosławski), che in qualche modo costituiva l’altra sponda di quel progetto. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: pagine e pagine di musica, dall’Africa a Björk, da Jimi Hendrix a Thelonius Monk, che probabilmente senza il Kronos avrebbe trovato difficile approdare sui palcoscenici della classica, soprattutto della cameristica, moto affezionata notoriamente al grande repertorio tra XVIII e XIX secolo. Il tutto arricchito da collaborazioni importanti, come quelle con Glass, Reich, Górecki, solo per citarne alcune, che hanno portato il quartetto di San Francisco ad essere un punto di riferimento per tutta la musica dei nostri giorni. Non di eclettismo si tratta, bensì di un atteggiamento ideologico che proprio negli anni Settanta del secolo scorso, come dicevamo, aveva trovato ampio e fertile terreno.

Un percorso perseguito con costanza e coerenza, come dimostra anche il programma di questo concerto (giovedì 6 settembre, Tempio Valdese, ore 17) . Il rock degli Who, la musica contemporanea africana, il minimalismo americano (con la ripresa del celebre Different Trains di Steve Reich e l’omaggio a Terry Riley), per culminare, passando per Laurie Anderson, con la prima esecuzione italiana della struggente Summertime di George Gershwin, proposta nell’arrangiamento del trombonista e compositore Jacob Garchik, nato a San Francisco, trasferitosi poi a New York e che con il Kronos collabora ormai dal 2006.

Fabrizio Festa