Ruscelli

Se siete di quelli che pensano che tinte e colori siano roba per pittori, se la parola suono vi suggerisce la sagoma di una radio o un juke box e non di un’onda che accarezza la riva, allora questo concerto non fa per voi. Descrivere la natura attraverso la musica, facendone sentire i respiri e ritrovare i sussulti in un brano orchestrale, rappresenta un’esperienza multisensoriale che al fruitore richiede apertura mentale, curiosità e tanta immaginazione.

Il concetto di multisensoriale non sfiorava, certo, la mente di Beethoven nel 1808, anno in cui faceva debuttare la Sinfonia n.6, definita da manoscritto: “Sinfonia pastorella – più espressione del sentimento che pittura”. Le didascalie bucoliche con le quali, allora, l’autore contestualizza i vari momenti del racconto sinfonico sono, più che altro, un omaggio alla tradizione, già in voga nel Settecento, della musica a programma. Corsi e distese d’acqua, tuoni e fulmini, richiami di campagna vengono resi attraverso l’uso sapiente e fantasioso degli strumenti. La loro citazione in musica, anzi, ricorre con frequenza significativa in ogni epoca e ad ogni latitudine.

L’elemento Acqua – così inafferrabile e presente, così vitale e temibile –  ha scatenato, in particolare, la fantasia dei compositori che l’hanno celebrato in sembianze di pioggia, fiume, mare o ruscello (termine che, per inciso, in tedesco si traduce Bach!). La Moldava, appunto, è il fiume che attraversa Praga, ma anche il titolo del secondo e più noto poema sinfonico di un ciclo di sei scritti da Smetana tra il 1874 e il 1879 e riuniti sotto il titolo di “Má Vlast” (La mia patria). Quello che nella Pastorale era un ruscello, qui è diventato un fiume sontuoso, il cui incedere lento rivive nel moto ondulatorio degli archi. Tutto rimanda alla celebrazione, ora nostalgica ora solenne, delle tradizioni boeme, in un racconto che aspira legittimamente al rango di poema nazionale.

La sezione ornitologica della storia della musica non risulta meno ricca e nutrita di quella idraulica appena esplorata. Da Vivaldi col suo gardellino fino a Messiaen (senza dimenticare il sempre pertinente Beethoven), molti compositori hanno trovato una chance di virtuosismo orchestrale non sottovalutabile nel voler ricreare il canto degli uccelli. Nel poema sinfonico di Dvořák, “La colomba selvatica” (1898), l’animale del titolo provoca il pentimento di un’uxoricida che, alla fine, sceglierà di morire gettandosi nel fiume. Come a dire: ecco servita la sintesi di due tòpoi musicali in una trama favolosa e semplice come sanno esserlo i racconti tradizionali prediletti dagli autori dell’Est.

Stefano Valanzuolo