Ritorno al futuro

Da Johannes Brahms a Marco Stroppa: è il percorso di Ritorno al futuro, il concerto della De Sono del 20 aprile (preceduto alle 19,30 da un incontro con il compositore) nel quale passato e presente si incontrano: Michele Marelli al corno di bassetto suonerà Il peso di un respiro di Stroppa, il Quartetto Lyskamm eseguirà La vita immobile per archi (prima esecuzione assoluta nella nuova versione) di Stroppa e il Quartetto in si bemolle n.3 op.67 di Brahms.

Maestro Stroppa, com’è nata l’idea di scrivere un brano per corno di bassetto?
«Nel 2006 invitai Michele Marelli a presentare questo strumento poco conosciuto alla Hochschule di Stuttgart, dove insegno. Michele fu straordinario, ebbi subito voglia di scrivere qualcosa per lui. L’occasione si presentò nel 2010: quando il festival di Donaueschingen mi commissionò un brano per orchestra, proposi un concerto per lui. Dopo questa esperienza, intrapresi un “cammino” opposto a quello di Luciano Berio con il suo ciclo di Chemins, dei brani strumentali tratti dalle sue sequenze. Nel mio caso, invece, estraggo dei pezzi solistici da brani concertanti, dal titolo Il peso di un…. Questi “respiri” sono quindi la rielaborazione di qualche parte solistica del concerto».

Ha scritto Il peso di un respiro per Marelli, La vita immobile per il Quartetto Arditti: che peso ha nel suo lavoro il rapporto diretto con l’interprete?
«Forse a causa del mio passato di pianista, il contatto con lo strumentista è sempre stato naturale per me. È un rapporto biunivoco, l’interprete sollecita la mia immaginazione che, a mia volta, stimola il gesto strumentale. Ad esempio, il primo o l’ultimo brano per corno di bassetto, con il loro colore timbrico particolare (dei bicordi o un parlando speciale) derivano dal lavoro sperimentale con Michele».

Può raccontarci la struttura di La vita immobile e come è cambiato nella nuova versione che verrà presentata a Torino?
«Sono sette piccole “macchine” musicali, cioè dei brani che sviluppano un solo tipo di atmosfera sonora in una certa direzione e in un tempo limitato a pochi minuti. Il carattere principale è derivato dal nome degli Arditti: le vocali corrispondono a brani più lenti e contemplativi, le consonanti a brani più rapidi e nervosi. Per questo concerto, oltre a una versione riveduta dei primi quattro brani, ho scritto i tre “automi” mancanti, completando, infine, grazie alla De Sono, il ciclo iniziato nel 2014. Il titolo proviene da una serie di 23 racconti di Marco Mazzolini, appassionanti e fantasiosi scritti animati da un’irresistibile costruzione formale. Ogni brano si ispira direttamente a un racconto».

Qual è il suo rapporto con Torino?
«Ho avuto un rapporto regolare, pur se non frequente. Il mio primo contatto musicale fu nel 1984: allievo di Azio Corghi, andai ad ascoltare il suo Gargantua al Teatro Regio. Mi stupì, all’epoca, che si potesse ancora chiamare “regio” un’istituzione repubblicana! Ebbi, poi, un bellissimo ritratto con la De Sono nel 1994: due concerti con Pierre-Laurent Aimard e il quartetto Arditti, documentati da un importante libretto curato da Lidia Bramani. Infine due esecuzioni importanti con l’Orchestra della Rai».

Susanna Franchi