Amici e compagni al Conservatorio di Torino Lorenzo Nguyen (pianoforte), Edoardo Grieco (violino) e Francesco Massimino (violoncello) fondano il Trio Chagall nel 2013: prendono l’impegno con grande serietà e tre anni dopo continuano a lavorare all’Accademia di Musica di Pinerolo sotto la guida del Trio Debussy. Nel 2017, al termine del corso tenuto da Bruno Giuranna, eseguono insieme al maestro il Quartetto per pianoforte K. 493 di Mozart. Il Trio entra poi a far parte della rete internazionale de Le Dimore del Quartetto. In crescendo, nel 2019 ottengono il secondo premio – il primo non è stato assegnato – e un bottino di tre premi speciali alla ventesima edizione del Premio Trio di Trieste.
Questa è ormai cosa nota. L’anno seguente i loro studi all’European Chamber Music Academy sono sostenuti dalla De Sono, l’associazione che li ospiterà martedì 1 marzo 2022 nella Sala del Conservatorio in un programma che va da Beethoven a Sostakovic.
Incontro Nguyen e Grieco in un pomeriggio gelido di fronte a un bicerin: complice la pandemia, i casi della vita, i viaggi, stiamo rimandando l’appuntamento da tempo e la nostra conversazione non può quindi che iniziare così, in modo naturale.
L’anno prossimo festeggiate il decennale della formazione, in pratica siete cresciuti assieme: come raccontereste la vostra storia?
LN: «Siamo persone normali. Mi piace sottolineare la componente umana, la solidarietà, il sostenerci gli uni con gli altri nella strada non facile della musica da camera nella quale ci siamo incamminati…»
EG: «L’empatia, il non essere da soli ad affrontare la musica e la vita è sicuramente importante. Un sodalizio che dura da quasi dieci anni è per noi un punto di forza. Soprattutto all’inizio, quando si è molto giovani, suonare assieme significa potersi esprimere meglio con più sicurezza che non singolarmente».
Come vi rapportate con il pubblico? (Nguyen arriva da un incontro che ha appena tenuto in un liceo di Torino, ndr)
LN: «La relazione che s’instaura con la musica classica è simile a quella con una persona. Ti metti affianco a lei, senza voler capire tutto e subito. Vedi se ti fa star bene. E se è così, magari ripeti l’esperienza. Chi ha la pretesa di capire le altre persone nella loro totalità? Sarebbe sciocco. Con la musica potrebbe essere lo stesso…
Cosa accade invece sul palcoscenico?
LN: «Bisogna cristallizzare una lettura, superando quella fase di continua rielaborazione che sottostà alla musica. Lavorare guidati dai migliori maestri significa questo: a volte il brano che suoniamo è stato appena messo in discussione o completamente ripensato una settimana prima, e in sala ovviamente questo non deve emergere»
EG: «Concordo: la flessibilità, il non fissarsi su una determinata idea è ciò su cui ci stiamo concentrando in questo momento»
LN: «Ci hanno descritto come un gruppo coeso: in questo momento però ci piace metter in discussione anche questo, e far risaltare le nostre tre individualità molto diverse. Nel nostro percorso ci sembrano fondamentali le crisi (in greco krino significa separare, ma anche giudicare, valutare): a livello musicale, personale, individuale, collettivo».
Passiamo al programma: al concerto De Sono ascolteremo Alfredo Casella a pochi giorni dal 75° anniversario della morte, nella sua città natale…
LN: «Ci sembrava bello proporre la Siciliana e Burlesca op. 23 bis, una trascrizione d’autore di un compositore italiano importante e che, in questo arrangiamento, si ascolta raramente… L’abbiamo voluta suonare nella finale al Concorso di Trieste, sotto consiglio del Trio Debussy, la eseguiremo anche il 22 febbraio all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi».
EG: «Dà un bel po’ di filo da torcere! La trascrizione è impegnativa soprattutto per il violino e il violoncello, che spesso suonano all’unisono ciò che nell’originale (per flauto e pianoforte) fa solo il flauto».
LN: «E non dimentichiamo che Casella fu tra i primi a suonare il Trio di Ravel!»
Che cosa ci dite dei brani di Beethoven e Sostakovic?
LN: «Entrambi sono Trii in do minore, entrambe opere giovanili. Il Trio op. 1 n. 3 di Beethoven è un’opera che apre un mondo completamente nuovo fin dalle prime battute. Più proseguo nello studio e meno capisco come sia nato quell’attacco inspiegabile…»
EG: «Spesso noi oggi, come ascoltatori, diamo molte cose per scontate, ma…»
… bisognerebbe invece provare a immaginarsi nei panni di chi lo ascoltò per la prima volta! A quale musica erano abituati?
LN: «Proprio così! In una delle prime lezioni Hatto Beyerle (fondatore della European Chamber Music Academy, nda) ci ha proposto un confronto fra gli ultimi Trii scritti da Haydn e i primi composti da Beethoven: le differenze sono lampanti e se ne dovrebbe tenere conto sia come musicisti sia come ascoltatori»
Torniamo a voi: cos’è cambiato dopo la vittoria del Premio “Trio di Trieste”?
EG: «Sono aumentate le possibilità di farci ascoltare in pubblico – nonostante, appena dopo la vittoria, sia seguito il terribile 2020 – e soprattutto si è aperto un mondo di nuove opportunità».
Piani per il futuro?
LN: «La festa del decennale (ride)! Scherzi a parte, in questo momento ci stiamo perfezionando in Svizzera alla Hochschule für Musik di Basilea: io con Filippo Gamba, Edoardo (e noi tutti come Trio) con Rainer Schmidt, Francesco con Thomas Demenga. Siamo in una fase esplorativa e siamo curiosi ad esempio delle opere di Rihm e, in particolare, del suo Terzo Trio».
EG: «E di Kagel! Che Trii magnifici ha scritto!»
E Lachenmann?
EG: «Un genio: innovativo sia per lo sviluppo di tecniche sia come esploratore di nuove sonorità, sia per l’attenzione estrema che pone al rapporto tra silenzio e suono. Abbiamo frequentato con lui a Berna una sessione dell’European Chamber Music Academy sull’interpretazione della sua opera».
LN: «È stato un incontro importante: con la musica e con la persona. Mi ha colpito il fanciullino che ogni tanto emerge in lui, come spesso accade negli artisti più grandi».
Benedetta Saglietti