Un capolavoro incompiuto e rimaneggiato, un allievo, Süssmayr, che termina il lavoro del Maestro, Mozart, una pagina intorno alla quale sono nate leggende d’ogni tipo. Insomma, il Requiem K. 626 non ha perso neppure un’oncia del suo fascino, ed eccolo ora riproposto in una versione del tutto nuova che potremo ascoltare in prima assoluta il 24 settembre (Auditorium del Lingotto, ore 21) nel concerto intitolato Mozart, un nuovo Requiem.
Ne parliamo con David Del Puerto, compositore e chitarrista, che è stato invitato a riorchestrare i quattro numeri conclusivi, lasciando però intatta la parte vocale.
Maestro, ci racconta com’è nato questo singolare progetto?
«È stata un’idea del direttore artistico di MITO SettembreMusica, Nicola Campogrande, quella di aggiungere negli ultimi quattro numeri del Requiem quattro strumenti particolari: arpa, fisarmonica, chitarra e basso elettrico. Strumenti che ho trattato in due modi diversi. Da un lato, come raddoppio e/o rinforzo, anche in funzione timbrica, delle parti orchestrali o vocali già esistenti. Dall’altro, come veri e propri strumenti solisti, creando per loro delle linee specifiche. Questa seconda strada mi è parsa la più convincente, andando così a determinare un contrasto suggestivo tra l’originale di Süssmayr e gli strumenti che ho avuto a disposizione. Peraltro, tranne l’arpa, si tratta evidentemente di strumenti che si distinguono nettamente nel contesto di una compagine orchestrale di fine Settecento. Ho proceduto, perciò, immaginando di costruire una sorta di concerto grosso, dove il “concertino” fosse appunto costituito da arpa, fisarmonica, chitarra e basso elettrico, opposto al “tutti” dell’orchestra. Così ho potuto sia costituire un gruppo autonomo di strumenti, cui affidare parti specifiche, sia utilizzare quel medesimo gruppo per sottolineare, rafforzare e offrire nuove prospettive timbriche rispetto alla partitura originale».
Che reazione si aspetta dal pubblico?
«Il Requiem di Mozart è notoriamente quel capolavoro, che tutti conoscono. Quindi, mi sono avvicinato alla partitura sapendo che andavo in un certo senso ad invadere uno spazio pubblico ampiamente condiviso. Mi ci sono accostato con rispetto, con amore, e anche prendendo le distanze da altre operazioni analoghe, come, ad esempio, le diverse ricostruzioni del finale della Turandot di Puccini, oppure dallo Schubert che Berio ha rielaborato nel suo Rendering. Non ho seguito una via musicologica e neppure quella del divertimento musicale, come ha fatto, altro esempio, Stravinskij con Pulcinella. Ho scelto una via che definirei “prismatica”. Ho voluto, cioè, offrire al pubblico un vero e proprio prisma, che gli permettesse di filtrare e scomporre i colori originali della partitura in colori diversi, andando così a generare sovrapposizioni inattese e punti di vista del tutto nuovi».
Fabrizio Festa