FUTURO e CINEMA.
La musica per grande orchestra, con grazia e leggerezza

Due parole definiscono il lessico di Mito SettembreMusica di quest’anno, futuro e cinema, nei concerti d’inaugurazione e di chiusura.

Di futuro ne abbiamo un estremo bisogno, dopo questi mesi di stagnante presente, ma di un futuro buono, operoso, fiducioso nella vita. Il concerto inaugurale (4 settembre, Teatro Regio alle ore 20 e 22.30) indica una strada. L’Orchestra Sinfonica di Milano Verdi, con la coppia più glamour della musica italiana, il direttore Daniele Rustioni e la violinista Francesca Dego, apre il programma con Pilgrims, un breve lavoro per orchestra d’archi del grande vecchio della musica americana, Ned Rorem, classe 1923, un compositore che ha conosciuto e raccontato tutti i totem della cultura del Novecento, da Picasso a Boulez.
Il titolo viene da un passo della Bibbia (Ebrei 11,13), che recita «Tutti costoro sono morti nella fede, senza aver ricevuto le cose promesse ma, vedutele da lontano, essi ne furono persuasi e le accolsero con gioia, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra». Rorem ha scritto questo dolce compianto nel 1958, mantenendo intatta la sua fede nella musica tonale in mezzo ai furori dell’avanguardia.
Čajkovskij e Dvořák, invece, non avevano bisogno di farsi martiri dell’armonia tonale, ma certo l’“Accordo di Tristano” aveva turbato il loro mondo. Se mai è esistito un artista che ha sentito la perdita del mondo felice dell’infanzia come una ferita insanabile, quello è Čajkovskij. Souvenir d’un lieu cher, in realtà, non riguarda la casa di famiglia a Votkinsk, ma si riferisce alla tenuta di Brailovo, messa a sua disposizione dalla contessa von Meck, la generosa mecenate di Čajkovskij. Lavorando al Concerto per violino, nel 1878, Čajkovskij mise insieme una piccola suite di tre pezzi per violino e pianoforte, dedicata a un luogo per lui divenuto sicuro rifugio e prezioso laboratorio.
Le melanconie di Dvořák sono meno intossicate dai rimorsi e dalle passioni, come dimostra la splendida Serenata per archi op. 22, scritta nel 1875. La musica di Dvořák, uomo modesto e artista forse sottovalutato, ritrovava miracolosamente la grazia e la leggerezza che parevano scomparse con Mozart, e di cui avremmo oggi tanto bisogno per il nostro futuro.

Cinema, invece, è stato il futuro di ieri, il grande sogno del Novecento, che si è chiuso con l’attentato alle Twin Towers e con le serie di Netflix. La grande musica ha definito le nuove visioni dei creatori dell’immaginario moderno, a cominciare dall’immenso genio di Charlie Chaplin, un Apollo umile e straccione capace di fondere tutte le Muse nella sua arte.
Nel concerto di chiusura, con l’Orchestra del Teatro Regio diretta da Sesto Quatrini il 18 settembre (Teatro Regio, ore 20 con replica alle 22.30), si pescano alcune perle della grande storia d’amore tra musica e cinema. La prima è l’irresistibile scena del barbiere nel Grande dittatore, in cui Chaplin insapona e rade lo sprovveduto cliente al ritmo della Danza ungherese in sol minore di Brahms. Nelle rodomontesche avventure di James Bond, per l’occasione interpretato da Timothy Dalton, è capitato che la Bond girl di turno, nel film Zona di pericolo, fosse una violoncellista di successo, che riesce a far ascoltare al prode 007 un po’ di buona musica, come il Notturno di Borodin e il Concerto per pianoforte di Šostakovič. Il colto e raffinato Karel Reisz, autore di film melanconici e disperati come La donna del tenente francese e Morgan matto da legare, era un giovane ebreo cecoslovacco scampato fortunosamente allo sterminio nazista. Nei suoi film la musica ha sempre un grande rilievo, e The Gambler, volgarmente tradotto in Italia come 40.000 dollari per non morire, non fa eccezione. La colonna sonora dipinge il lento sprofondare nel baratro di un professore di letteratura della New York University, interpretato magistralmente da James Caan, che rispecchia nel gioco d’azzardo il proprio fallimento esistenziale di uomo senza futuro. Nella musica di Mahler e di Čajkovskij, di cui si esegue la versione per orchestra d’archi di Souvenir de Florence, il regista sente la pietà e il disperato tentativo di lenire il dolore di questa umanità di perdenti.

Oreste Bossini