6 pianisti in 11 giorni: una sfilata di stelle della tastiera

Sei-pianisti-sei in undici giorni, praticamente un festival nel festival. A collegarli non vale il rilievo anagrafico né quello geografico, ché gli ospiti sono di ogni età e di ogni provenienza, ed è proprio il campionario ampio di stili, approcci e personalità solistiche messo in vetrina, con relativa offerta musicale variegata, ad accrescere l’interesse intorno al progetto.

Eppure, a scorrere la vicenda artistica di Gabriela Montero, Ivo Pogorelich, Saskia Giorgini, Lucas Debargue, Luca Buratto e Dmytro Choni, scopriamo corsi e ricorsi che s’intrecciano e avvicinano, magari impalpabilmente, storie distanti nel tempo e nello spazio. Storie di ex enfant prodige, per esempio. Come Gabriela Montero, che a quindici mesi – prima ancora di parlare – già suonava l’inno venezuelano su un pianoforte giocattolo e a sette avrebbe debuttato con l’orchestra, sotto la direzione di quel genio visionario che fu José Antonio Abreu. Di platee e partner illustri (da Abbado a Maazel) Montero ne avrebbe incontrati tanti, nel corso di una lunga carriera internazionale, e anche una complice preziosa: Martha Argerich; sarà infatti lei, la pianista argentina, a liberare definitivamente la fantasia creativa di Gabriela.

La Argerich, c’entra – e molto – anche con la storia di Ivo Pogorelich che, dopo aver vinto il Concorso Casagrande, sarebbe stato eliminato al terzo turno dello Chopin di Varsavia, nel 1980. Fu allora che la Argerich abbandonò la giuria, dicendo: «Non avete capito nulla, quest’uomo è un genio!». Quell’uomo, cioè Pogorelich, avrebbe continuato a stupire il mondo musicale con un approccio (talora compiaciutamente) personale e varie intuizioni brillanti, specie sul versante romantico. Dopo una pausa di riflessione, a metà anni Novanta, Pogorelich è tornato attivissimo dal vivo e, ora, anche in disco: confessa di non aver mutato nulla della propria visione pianistica, solo di aver affinato il suono.

Un altro concorso prestigioso, il Cajkovskij di Mosca, segna invece la carriera di Lucas Debargue, il cui quarto posto, nell’edizione 2015, viene salutato da consensi ben più roboanti di quelli tributati al vincitore (per la cronaca, Dmitij Masleev). Debargue, al pari di Pogorelich, ha spesso sorpreso pubblico e stampa per via di un approccio pianistico poco convenzionale, persino informale, comunque consapevole. Sarà un caso, ma Pogorelich e Debargue discendono entrambi dalla scuola gloriosa di Aleksandr Siloti, avendo studiato con sue eredi: andando a ritroso, si arriverebbe a Liszt.

Prima di chiudere il discorso sui concorsi internazionali, occorre citare la fitta serie di primi premi messi in fila da Dmytro Choni, pianista ucraino classe 1993, e culminati nella conquista del Paloma o’ Shea di Santander. Per trovare, invece, un trait d’union che coinvolga anche Luca Buratto, scomodiamo di nuovo la Argerich, perché del progetto che a Lugano porta il nome della illustre artista ha fatto parte il nostro ospite. Di Buratto, che a cinque anni debuttò in pubblico e si è già esibito alla Scala e con la London Philharmonic, ci piace segnalare l’impegno civile profuso al fianco di varie istituzioni non profit: in questo, il ventinovenne pianista milanese trova esempi virtuosi in Pogorelich (rieccolo!), spesosi a lungo e generosamente per la ricomposizione della vita civile nei Balcani, e in Montero, console onorario di Amnesty International.

Quanto al cotè cameristico, ognuno dei sei artisti fin qui raccontati lo frequenta con attenzione proficua, alternando le gioie della musica d’insieme al brivido solistico: Saskia Giorgini, primo premio al Mozart di Salisburgo nel 2016, ha suonato – tra gli altri – con Brunello, Jansen, Bostridge, Apap e Demenga, inoltre ha un trio stabile.

Abbiamo giocato, sin qui, cercando un fil rouge – tutt’altro che necessario – attraverso sei serate di musica. Ma è chiaro che tutte queste siano delineate sulla vocazione dei singoli interpreti. Succede, allora, che Gabriela Montero regali al pubblico (lunedì 13 settembre, Conservatorio, ore 21), dopo Rachmanimov e Beethoven, il brivido dell’improvvisazione, come fosse un momento di jazz accudito con passione. O che Ivo Pogorelich metta virtuosamente a frutto la propria indole romantica aggirandosi tra Schubert e l’amatissimo Chopin, alla ricerca di nessi suggestivi (mercoledì 15 settembre, Conservatorio, ore 21.30). A Saskia Giorgini (venerdì 17 settembre alle ore 21 presso il Teatro Sant’Anna) toccherà tessere un elogio della melodia, cimentandosi anche come trascrittrice raffinata di Rachmamninov. Ecco poi Lucas Debargue (lunedì 20 settembre, Conservatorio, ore 21.30) concedere spazio ad un repertorio meno assodato (lui che di recente, con Gidon Kremer, ha dedicato un disco al compositore polacco Milosz Magin) e alle prime esecuzioni italiane di Stéphane Delplace, custode contemporaneo della tonalità. Luca Buratto dovrà dare forma e voce alle ardite seduzioni di Thomas Adès, sull’onda di una sana vocazione maturata negli anni (lo ascolteremo mercoledì 22 settembre alle ore 21, presso il Sermig). Dmytro Choni è infine chiamato a trovare un equilibrio tra virtuosismi inevitabili e visioni soffuse (venerdì 24 settembre, Conservatorio – ore 15).

Tutto in undici giorni, appunto: tenetevi forti.

Stefano Valanzuolo