Ascoltare, a pochissimi giorni di distanza, i tre grandi maestri italiani del violoncello (Mario Brunello, Enrico Dindo e Giovanni Sollima) è una tra le più toccanti emozioni che l’edizione 2020 di MITO SettembreMusica regalerà al pubblico. Ciascuno dei tre artisti sarà da solo sul palco, quasi “solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole”, metafora di questo tempo crudele e beffardo. Eppure, contemporaneamente, ognuno sarà legato agli altri da un filo misterioso. Sì, perché la bellezza al tempo della pandemia è anche questo: una ricerca estrema di essenzialità, quasi di nudità, che però sa trasformarsi in canto collettivo, in frammento di una voce plurale.
A inaugurare il progetto, denominato semplicemente “Un violoncello”, sarà Sollima, che a Torino proporrà il suo concerto lunedì 7 settembre. Venerdì 11 settembre sarà la volta di Dindo, mentre martedì 15 settembre toccherà a Brunello chiudere il ciclo. Tutti gli appuntamenti si terranno nel salone del Conservatorio e saranno proposti in due repliche: alle ore 20 e alle ore 22.30 (anche questo un fatto inedito, che ovviamente nasce da ragioni pratiche, dovute alle misure di distanziamento e ai pochi posti disponibili in sala, ma che può nascondere interessanti risvolti musicali).
Non v’è dubbio che il progetto “Un violoncello” abbia un valore speciale e un significato simbolico nell’ossatura di MITO 2020. «Quest’anno non possiamo puntare sui grandi numeri, però abbiamo scelto di puntare sull’intensità» ha spiegato il direttore artistico Nicola Campogrande, durante la conferenza stampa di presentazione del festival. «Ma la presenza dei tre violoncellisti è anche un simbolo dell’unità del Paese, un’icona dell’italianità del festival, che non è solo necessità pratica ma anche scelta etica. I tre si sono idealmente abbracciati e mi piace pensare che questo sia un po’ il simbolo dell’abbraccio che tutti abbiamo sperimentato in questi mesi di costruzione e ricostruzione del festival».
Per il pubblico, i concerti saranno un viaggio nelle inimmaginabili possibilità espressive del violoncello solo, che toccherà alcune pietre miliari del repertorio (a cominciare, ovviamente, dall’imprescindibile Bach) per poi spingersi in territori molto meno esplorati. Il programma proposto da Giovanni Sollima è un inno «alla drammaturgia del contrasto stridente, alla diversità di epoche e stili» come lui stesso ci racconta. Si parte, dicevamo, da Bach, con la Suite n. 3. Ma ecco poco dopo, un contraltare inatteso, uno specchio deformante: la Suite n. 3 di Ernest Bloch «in cui la radice ebraica è molto forte». Il violoncellista siciliano si cimenterà anche con una serie di trascrizioni: dal gambista tedesco Carl Friedrich Abel, ma anche da Stravinskij, con tre pezzi originariamente per clarinetto. Spicca, nel cuore del programma, un pezzo composto dallo stesso Sollima e proposta in prima esecuzione assoluta: è la Song da Acqua profonda. «Durante i mesi del lockdown ho lavorato a un’opera, chiamata appunto Acqua profonda, che è una sorta di favola, incentrata sulla storia di una balena, una riflessione sul tema dell’ambiente. A un certo punto però mi sono accorto che alcune tracce tematiche di quel lavoro si stavano sdoppiando e avevano bisogno di un destino strumentale. Ecco allora questo brano, quasi una “fantasia sull’opera” in cui gli arpeggiati di derivazione bachiana diventano ricerca di fluidità».
Anche nella riflessione di Enrico Dindo, Bach è il motore del pensiero. «L’edizione di MITO 2020 si intitola Spiriti e lo spirito di Bach è quello che aleggia intorno a tutto il repertorio per violoncello solo». Non è un caso che, all’interno del programma, la Suite n. 1 (con il suo preludio, senza dubbio il brano più celebre mai composto per questo strumento) occupi la posizione centrale, come ad abbracciare idealmente tutte le altre opere. Anche qui le escursioni spazio-temporali sono notevoli: il concerto si apre con la Sonata n. 1 di Moisey Weinberg, compositore sovietico di origine polacca, cui Dindo racconta di essersi avvicinato molto, proprio durante questi mesi di confinamento: «Weinberg ci ha lasciato una vasta produzione per violoncello e ha una scrittura interessantissima, che sono felice di aver iniziato ad approfondire». Ci saranno poi due brani di compositori contemporanei, che hanno con il violoncellista torinese rapporti di amicizia e lunga collaborazione: si tratta di Carlo Boccadoro e di Fabio Vacchi. «Trovo formativo il lavoro sulla musica contemporanea. È affascinante – dice Dindo – partire da un brano di cui, all’inizio, non si conosce nulla. Ci si trova davanti una pagina bianca. Suono dopo suono, bisogna capire il linguaggio e dare un senso ai segni scritti». Chiuderà il concerto la sonata di Eugène Ysaÿe. Quella per violino è ormai molto nota, quella per violoncello assai meno: «era da tempo che volevo studiarla» racconta Dindo. Altra bella occasione di scoperta.
Per il suo concerto Mario Brunello ha fatto una scelta alternativa e in certo modo dirompente. «Ho pensato che Bach sarebbe stato una presenza troppo ingombrante. Avrebbe avuto bisogno di un suo percorso specifico. Questo progetto però non era intorno a Bach, ma intorno al violoncello. Per questo mi sono sentito libero di andare alla ricerca di altri repertori». Uno degli esiti di questa ricerca è la Chaconne per violoncello ed elettronica di Brian Ciach, compositore statunitense nato nel 1977.
«Ho ascoltato questo brano in rete e ne sono rimasto affascinato» racconta Brunello. «L’elettronica prende il posto delle tradizionali quattro note di passacaglia». Certo, il riferimento al mondo barocco resta ben presente e non a caso il violoncellista ha scelto di accostare questo brano alla passacaglia L’angelo custode di Ignaz von Biber e alla Folia di Marin Marais in una trascrizione particolare, in parte ricalcata su quella di Maurice Gendron, in parte attinta all’originale, con libertà, dallo stesso Brunello. Dicevamo che tra i tre programmi ci sono punti di contatto. In effetti il violoncellista veneto condivide col collega torinese l’interesse per Weinberg, di cui eseguirà la Sonata n. 3. «Pochi della mia generazione praticano questo autore, che per molto tempo è stato ingiustamente dimenticato. Invece dalla sua musica emerge un mondo straordinario».
Come le esecuzioni in parte rivelano, per i tre maestri il periodo di lockdown, pur faticoso, è stato artisticamente fecondo: è stato l’occasione per approfondire, scoprire, ma anche per fermarsi e riflettere. E perfino ora, in questo tempo così difficile per la musica dal vivo, forse non tutto il male vien per nuocere. «È il momento di cercare vie nuove» osserva Sollima. «Riscopriamo il repertorio caduto nel dimenticatoio, a cominciare da quello per piccoli organici. E se è necessario fare più concerti con meno pubblico, allora apriamo i teatri, perché no, anche in piena notte». Dal canto suo Dindo auspica che «presto i musicisti possano tornare a suonare nelle condizioni ottimali, senza forzature», però riconosce anche che «se non altro, ora abbiamo l’occasione di mettere al centro la musica da camera, sempre così bistrattata in questo Paese». «Abitualmente si lavora con ritmi compressi e non sempre salutari per la musica» aggiunge Brunello. «Questo tempo può essere un’opportunità per recuperare una dimensione esecutiva più raccolta, soprattutto quando parliamo di repertori che non erano stati concepiti per le grandi sale da concerto, ma per ambienti diversi». Non solo. «A volte, quando arrivo alla fine di un concerto, mi ritrovo a pensare: “è stato così bello che mi piacerebbe rieseguirlo da capo”. Ecco, con MITO questa possibilità ce l’avrò».
Lorenzo Montanaro