Il poeta e librettista Wystan Auden una volta disse «La musica è il miglior mezzo per sopportare il tempo». La frase potrebbe essere il motto di Time, la nuova stagione dell’Orchestra Filarmonica di Torino che parte il 22 ottobre con il concerto “It’s time”, dedicato a due nomi illustri del sinfonismo tedesco: Mendelssohn e Brahms. Come è ormai consuetudine, il grande appuntamento serale al Conservatorio sarà preceduto dalla prova di lavoro, il 20 ottobre alle 10 a +SpazioQuattro, e dalla prova generale, il 21 ottobre alle 18:15 al Teatro Vittoria.
Maestro Pretto, la vigilia di questo concerto, che vedrà lei sul podio, sembra il momento ideale per fare un bilancio. Come ha risposto il pubblico negli ultimi anni all’articolata proposta dell’OFT?
«Le prove aperte nella sala di via Saccarelli mi stupiscono sempre. E piacevolmente. Innanzi tutto, perché sono sempre molto affollate, sebbene seguire tre ore di prova di un’orchestra professionale sia un’esperienza che alcuni forse riterrebbero noiosa. In secondo luogo, perché non vola una mosca. Il pubblico, che va da bimbi piccolissimi portati dalle famiglie agli spettatori più anziani, segue le prove con un’attenzione che io non avrei mai ritenuto possibile. Devo ammettere che all’inizio ero un po’ scettico, forse perché spesso siamo piuttosto noi musicisti che ci annoiamo a seguire lunghe sessioni. E invece i non addetti ai lavori, se possiedono una certa sensibilità musicale e un interesse per come si costruisce un’interpretazione sinfonica o cameristica, sono particolarmente affascinati da ciò che succede in sala. Li vedo sempre concentrati e silenziosi, spesso emozionati, anche perché in prova capiscono molte cose che magari prima non sapevano».
Per esempio?
«Per esempio, che i musicisti parlano continuamente di numeri: per indicare da dove si parte a provare, per contare le battute, per definire le ritmiche più complesse; e anche che attraverso le parole e i gesti si può arrivare a cambiare molto radicalmente i suoni, in un modo per molti inimmaginabile. Insomma, trovo che sia una bellissima esperienza anche per noi musicisti: ci sembra per qualche ora di condividere un linguaggio complesso e universale con coloro che amano la musica ma semplicemente non l’hanno mai studiata».
C’è qualche obiettivo particolare che vorrebbe raggiungere quest’anno?
«Ogni direttore d’orchestra, ogni musicista ha a cuore la qualità. L’obiettivo per me è continuare a crescere e a far crescere la nostra bella realtà, condividerla sempre di più col pubblico torinese (ma anche nazionale nelle nostre trasferte) facendo capire che si tratta di qualcosa di importante. Abbiamo inoltre l’obiettivo di lavorare sempre di più coi giovani professionisti della musica. OFT è certo un’orchestra professionale ma trovano sempre più spesso spazio nelle sue fila ragazze e ragazzi eccellenti, che portano un contributo di freschezza e qualità davvero importante. Questo è anche il risultato della mia lunghissima e felice esperienza come docente dell’Orchestra Giovanile Italiana, che ho cercato di trasferire nel mio lavoro in OFT».
Il primo titolo di “It’s time” è La bella Melusina, un’ouverture da concerto fiabesca in cui i flauti hanno un ruolo di primo piano. Nella scelta di questo pezzo, quanto ha influito la sua esperienza come flautista?
«In realtà nulla, semmai l’ho scelto perché Mendelssohn è un artista che da sempre sento in maniera particolarmente profonda, e questa ouverture è, stranamente, di rarissima esecuzione: penso andrebbe riproposta più spesso. Si tratta di un piccolo miracolo di leggerezza ed eleganza».
Il programma prosegue con la Sinfonia n. 1 di Brahms che, al suo debutto, fu salutata come “la decima sinfonia”, in riferimento alla produzione di Beethoven…
«Il grande e arioso tema in do maggiore dell’ultimo movimento evoca senz’altro l’Inno alla gioia, e Brahms era perfettamente consapevole della responsabilità di far partire la sua produzione sinfonica dopo il macigno beethoveniano. Per questo la gestazione fu così lunga, e il titolo “It’s time” evoca il momento in cui, rotti gli indugi, il grande amburghese decise di partire per un viaggio sinfonico che lo portò infine ad elaborare “solo” quattro capolavori. Ma a mio avviso già la magnifica Serenata op. 11, che si compone di sei movimenti, tolti i due minuetti, può essere a pieno titolo considerata la sua prima vera sinfonia. E il Secondo concerto per pianoforte, di fatto è una specie di geniale ibrido di sinfonia con piano concertante. Certo Brahms fu assai attento a ogni minima mossa, attraverso un minuzioso lavoro nutrito dall’autocritica più estrema: e se da ogni sua nota scaturisce perfezione lo dobbiamo credo anche a questo».
Il primo movimento della Sinfonia n. 1 di Brahms parte quasi in medias res, con un grande climax sonoro. Come preparerà questo attacco impetuoso?
«L’inizio del primo movimento della Sinfonia, in effetti, sembra rappresentare il cammino deciso di qualcuno che prende di petto un’antica sfida e la affronta con coraggio, anche attraverso la novità del pulsare omoritimico del timpano che ne guida maestosamente l’avvio. Come lo preparerò? A un interprete non resta altro che affidarsi totalmente al dettato della partitura, cercando di immergersi con autenticità nel proposito più profondo dell’autore: prima vivendolo come l’avesse scritto lui, poi vestendolo dei suoni più adatti, e infine comunicandolo con chiarezza, pur nella consapevolezza che non si tratterà che di una delle molte interpretazioni possibili. È ciò che cercherò di fare».
Liana Püschel