Cecilia Bacci «Un buon concertatore sta dentro il gruppo, mai sopra»

Non ci facciamo tanto caso, ma le locandine indicano maestro concertatore e direttore d’orchestra ; sbrigativamente pensiamo in genere solo al direttore, quello che sale sul podio e guida un’esecuzione dando gli attacchi, ma quell’altra parte della dicitura ricorda una componente essenziale, e delicatissima, del lungo lavoro di preparazione che precede un concerto: l’individuazione di tempi, fraseggi ed equilibri esecutivi, i rapporti reciproci fra i musicisti e fra i diversi elementi che compongono una partitura. Gli Archi dell’Orchestra Filarmonica di Torino lavorano senza direttore, ma con un maestro concertatore che per il concerto del 21 novembre sarà la torinese Cecilia Bacci, 34 anni e da dieci primo dei secondi violini nell’orchestra del Teatro Regio.

 

Come ci si giostra nell’essere la guida di un ensemble di cui si è parte?
«Quando vinsi il concorso al Regio mio padre mi diede da leggere un fascicolo su come essere un buon leader. Non so se sono riuscita del tutto nel suo intento, ma il ruolo di concertatore rispecchia in pieno ciò che lì mi veniva spiegato: un buon leader è colui che riesce a guidare i suoi dipendenti senza esternarsi dal gruppo, a essere dentro e non sopra il gruppo, ma senza perdere autorevolezza. Facile, no?! Scherzi a parte, condurre l’ensemble suonando il proprio strumento è fantastico! In OFT è la prima volta che ricopro questo ruolo, ma la prima volta che ho suonato con loro avevo solo sedici anni, mi sento un po’ figlia loro e ogni volta che si crea l’occasione non vedo l’ora di tornare in “famiglia”. Chi suona in questo gruppo lo fa perché ci crede, e questa spinta positiva mi dà grande carica. Spero in questo caso di riuscire a restituirne io agli altri».

La stagione dell’OFT si snoda come un itinerario nelle diverse stanze di una casa, il vostro concerto corrisponde allo studio.
«Non a caso la forma musicale predominante è quella della fuga, una prova di studio per i compositori e per chi la affronta. Il programma spazia dall’Austria alla Svizzera, all’Italia, alla Germania, e perché non fosse monotematico sono stati inseriti anche brani diversi dalla fuga (Vivaldi per esempio) in cui tuttavia è comunque il contrappunto a farla da padrone».

Un eccelso esercizio di tecnica per il compositore e per gli esecutori?
«La tecnica è un mezzo per fare musica. Bach, specie nelle fughe faceva esercizi compositivi, affascinato dai numeri, dalle regole, eppure ha tirato fuori dal cilindro musiche che sono in grado di appagare sia la mente che lo spirito. Quanto a me, non sono mai stata una stakanovista, ma i miei maestri mi hanno insegnato che lo studio può essere a volte anche solo mentale, spesso i problemi tecnici derivano da una falla nel ragionamento. Mi è capitato di trarre frutto dal pensare a ciò che stavo studiando magari mentre lavavo i piatti».

Gaia Varon