L’eufonio e la Filarmonica in un gioco di specchi.
Intervista a Devid Ceste

Un eufonio che veste i panni del violoncello e poi del flicorno basso, ma anche un quintetto per archi di Dvořák che si dilata, come in un gioco di specchi, fino a includere un’intera orchestra. Il concerto che gli archi dell’Orchestra Filarmonica di Torino, sotto la guida del maestro concertatore Sergio Lamberto e con Devid Ceste nel ruolo di eufonio solista, proporranno martedì 9 febbraio alle ore 21 in streaming sul canale YouTube dell’orchestra, è un invito a guardare la musica sotto nuove prospettive. Nulla di più calzante in questo doloroso tempo di pandemia, con le sale da concerto chiuse e nuove forme di ascolto (a cominciare, appunto, dallo streaming) divenute improvvisamente le sole possibili, tra sfide, limiti e potenzialità.
A Devid Ceste (trombonista dell’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI, ma anche docente di eufonio al Conservatorio di Milano e all’Istituto Pareggiato della Valle d’Aosta) chiediamo di aiutarci a mettere a fuoco alcuni aspetti del concerto

Maestro, la serata del 9 febbraio si apre con l’eufonio impegnato in due trascrizioni, la prima del Concerto per violoncello in mi bemolle maggiore (RV 408) di Vivaldi, e la seconda del Concerto per flicorno basso e banda di Ponchielli. Come si è avvicinato a questi brani?
Quanto a Vivaldi, non parlerei neppure di trascrizione. Semplicemente eseguo con l’eufonio la parte del violoncello. L’unico intervento è consistito nell’affidare a violini primi, violini secondi e viole gli accordi della mano destra del clavicembalo (poiché questo strumento non fa parte dell’organico della serata). Diverso è il caso di Ponchielli. Passare dall’originale per banda alla versione per orchestra d’archi ha richiesto un lavoro di condensazione, di “riassunto”, per redistribuire al meglio i ruoli. La banda, infatti, include più strumenti rispetto alle cinque parti degli archi. È stato un processo interessante. Di solito accade l’inverso, cioè si trascrivono per banda brani originariamente concepiti per organici diversi. Ecco perché, in questo caso, mi piace parlare di trascrizione al contrario.

Il barocco, l’Ottocento e, come vedremo tra poco, anche la musica contemporanea. Di solito circoscritto – almeno nella tradizione italiana – ai complessi bandistici, l’eufonio si rivela invece strumento molto versatile…
E’ vero, in effetti ha ampie possibilità di impiego. Copre l’estensione della tuba e quella del corno. Rispetto al flicorno basso, più piccolo e più tenorile, ha un registro baritonale che gli consente di approcciare con naturalezza molto del repertorio per violoncello e per fagotto. Ad esempio, mi è capitato di cimentarmi con le prime cinque Suite per violoncello solo di Bach. D’altra parte ci sono anche ragioni storiche. L’eufonio è uno strumento giovane: è stato brevettato nel 1874. Oltretutto, per quasi un secolo, i brani a esso dedicati sono stati soprattutto variazioni su temi popolari e arie d’opera: pezzi molto virtuosistici, ma senza un grande spessore compositivo. Una vera e propria “consacrazione” è arrivata solo nel 1972, con il Concerto per eufonio di Joseph Horowitz. Quindi è ovvio che, se ci si vuole confrontare con repertori delle epoche precedenti, bisogna attingere a piene mani da strumenti diversi.

Il concerto del 9 febbraio prevede anche l’esecuzione, in prima assoluta, della Sarabanda e Salterello per eufonio e orchestra d’archi del trombettista e compositore Davide Sanson. Che cosa può dirci di questo brano?
Devo intanto premettere che sono legato a Davide Sanson da amicizia di lunga data. Per anni abbiamo suonato insieme. Con il pianista Massimo Bezzo formavamo il Trio Musiké: nel 2000 abbiamo anche inciso un disco per l’etichetta L’Eubage. Ho seguito passo dopo passo la crescita compositiva di Davide, vedendo nascere quasi tutte le sue opere. Per questo sono felice e onorato del fatto che abbia voluto dedicarmi questo pezzo. Una gioia, ma anche una bella responsabilità. Sul piano formale, il brano, in due movimenti, si riallaccia alla tradizione francese dei Pièces de concours (opere brevi, con accompagnamento di pianoforte, appositamente scritte per gli studenti che sostenevano gli esami nei vari strumenti solistici). La sarabanda chiede all’esecutore grande intensità e lirismo, mentre il salterello, tutto costruito su triadi eccedenti e scale esatonali, è virtuosistico e anche molto autoironico.

Allargando il campo, come si pone nell’approcciare un brano completamente nuovo? Non vi sono esecuzioni precedenti con cui confrontarsi, ma si parte da zero. Quali punti cardinali la guidano?
Credo che, in generale, per studiare un brano, indipendentemente dalla sua novità, serva un approccio scientifico. Si parte dal segno grafico, cioè dallo spartito. Si affrontano inizialmente gli aspetti tecnici, per poi scendere più in profondità, all’idea musicale. Come trombonista dell’Osn Rai mi è capitato più volte di confrontarmi con composizioni assolutamente nuove. All’inizio magari si resta un po’ disorientati: l’importante è non fermarsi alla prima impressione. Serve del tempo per riuscire a percepire un brano nella giusta prospettiva, per iniziare a coglierne il senso.

Come immagina la collaborazione con l’Orchestra Filarmonica di Torino?
Con il direttore artistico, Michele Mo, e con il direttore Musicale, Giampaolo Pretto (entrambi legati al mondo dei fiati), c’è un rapporto di amicizia e stima. Desidero ringraziare entrambi per questa collaborazione e sono certo che sarà un’esperienza preziosa.

Il concerto sarà trasmesso in streaming (la sola forma possibile in questo momento). Che cosa cambia rispetto alle esecuzioni con il pubblico in sala?
Telecamere e microfoni creano sempre una certa tensione. A livello emotivo, quando il pubblico è presente fisicamente, si crea un rapporto più rilassato, più diretto. E poi, non dimentichiamolo, il pubblico fa parte dello spettacolo. Finire il concerto nel più assoluto silenzio è strano: manca l’applauso.

La pandemia ha introdotto modi inediti di ascoltare la musica. Secondo lei, una volta che l’emergenza sarà passata, che cosa rimarrà di queste esperienze?
Penso che la modalità dello streaming non verrà abbandonata. E in questo dobbiamo vedere anche delle opportunità. Ad esempio, so che negli ultimi mesi i Berliner Philharmoniker hanno aumentato – e di molto – il numero dei loro abbonati. Evidentemente, in questo tempo di forzata inattività, tante persone hanno scoperto il piacere di ascoltare i concerti restando in casa e a prezzi contenuti. Magari a qualcuna di queste persone verrà voglia, quando sarà possibile, di entrare in una vera sala da concerto. Penso che nel futuro si andrà verso forme “ibride”, in cui ascolto in presenza e streaming dovranno convivere. E penso che a queste nuove tendenze si debba guardare senza pregiudizi, ma, anzi, con un pizzico di speranza.

Lorenzo Montanaro