Si intitola “Passione” e si annuncia ad alta intensità emotiva il concerto che l’Orchestra Filarmonica di Torino, sotto la guida del direttore musicale Giampaolo Pretto, insieme all’acclamato pianista Pietro De Maria, proporrà martedì 15 gennaio al Conservatorio di Torino. In programma due opere legate dal filo rosso dello slancio passionale (sempre però unito a una grande ricerca di profondità): il Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninov e la Sinfonia n. 7 di Antonin Dvořàk.
Ne approfittiamo per una chiacchierata con Pietro De Maria. Lo raggiungiamo al telefono mentre si trova a Salisburgo, dove è impegnato in un’intesa attività didattica al Mozarteum. Vincitore del Premio della Critica al Concorso Cajkovkij nel 1990, primo pianista italiano ad aver eseguito pubblicamente l’integrale delle opere di Chopin in sei concerti, questo interprete vanta collaborazioni di altissimo livello e un’esperienza musicale che spazia da Bach a Ligeti.
Il suo punto di vista su Rachmaninov non può che essere illuminante.
Maestro De Maria, parlare del Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra di Rachmaninov significa parlare di una pagina “capitale”, per diverse ragioni. Il concerto spinge all’estremo le possibilità virtuosistiche, ma anche le capacità introspettive dell’interprete. Ed è una delle pagine più note e amate non solo del repertorio pianistico, ma, probabilmente, dell’intero repertorio classico. Insomma, una sorta di “mito”. C’è una particolare chiave di lettura che la guiderà nell’esecuzione del concerto?
«Quando ci si avvicina a un’opera di questo tipo, pensare a tutti i confronti che vengono in mente rischia quasi di toglierci energia. Mi piace, però, riallacciarmi a ciò che ha detto, recentemente, Krystian Zimerman: «Questo concerto non si suona, ma si vive». Rachmaninov era un compositore dal cuore immenso e se c’è una chiave per approcciarsi alla sua musica credo sia proprio questa: abbandonarsi all’ascolto del proprio cuore».
La Filarmonica di Torino ha voluto associare a ciascuno dei concerti della stagione 2018-2019 uno stato d’animo. Il titolo scelto per la serata che la vedrà protagonista è Passione, una parola molto evocativa, che immediatamente rimanda allo spirito romantico. Che tipo di sensazioni le suscita? Ritiene che possa essere una guida per l’esplorazione del Concerto n. 2 di Rachmaninov?
«Passione è una parola centrale e da sempre molto presente nella mia esperienza. Parlo, innanzi tutto, della passione per la musica, che mi ha accompagnato e guidato, fin da quando ero piccolo. Ho avuto la fortuna di capire molto presto che cosa mi sarebbe piaciuto fare nella vita, anche se ovviamente non sapevo in quale misura sarei riuscito a realizzare i miei progetti e i miei sogni. E, come dicevo poco fa, questa parola si attaglia benissimo anche al Concerto di Rachmaninov, che è, appunto, animato da una costante e vivissima passione».
La sua esperienza concertistica è stata sempre improntata a grande curiosità e a un continuo lavoro di ricerca, con un repertorio che spazia dal barocco alla musica contemporanea. Che posto ha Rachmaninov all’interno di questo percorso?
«Il mio 2019 si apre con una singolare coincidenza. Da molto tempo non mi confrontavo con la musica di Rachmaninov. Ora, nel giro di pochi giorni, suonerò sia il Concerto n. 2 a Torino sia gli Études-Tableaux op. 39 a Città del Messico. Ricordo bene di quando, diciottenne, studiai queste opere. E sono felice di avere occasioni per tornare a eseguirle».
Si tratta di opere molto diverse. Eppure esiste un filo conduttore che in qualche modo le unisce?
«È vero, sono lavori piuttosto distanti, per struttura e destinazione. In particolare gli Études-Tableaux, che hanno anche una finalità didattica, sono posteriori rispetto al Concerto e sono caratterizzati da una più intensa sperimentazione a livello armonico. È però vero, che, come tutti i grandi, Rachmaninov ha saputo lasciare la sua impronta anche in opere apparentemente distanti».
Che ricordi ha delle sue precedenti collaborazioni con l’Orchestra Filarmonica di Torino?
«Ho dei bellissimi ricordi. Va detto, però, che da allora sono trascorsi davvero molti anni, per cui mi preparo a questo nuovo incontro con curiosità e interesse»
Lorenzo Montanaro