24«Ciò che sento attorno a me, per quanto attiene al mondo musicale giovanile, è molto incoraggiante. I confini nazionali non rappresentano più quei muri che percepiva la mia generazione. I giovani musicisti sono globe-trotter, più colti, più preparati, più attenti, parlano molte lingue, anche musicalmente. I talenti sono tanti, e più simili anche tra nazionalità e scuole diverse. L’eccellenza assoluta continua ad essere appannaggio di una minoranza, che però esprime un livello di padronanza e controllo tecnico-espressivo forse ancora più alto che un tempo».
Crede sinceramente nei nuovi talenti della musica classica Giampaolo Pretto, flautista (da oltre trent’anni è il primo flauto dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai), compositore, direttore d’orchestra, nonché direttore musicale dell’Orchestra Filarmonica di Torino. E lo conferma l’entusiasmo con cui da anni si dedica all’insegnamento.
Proprio accanto a un ensemble di tre giovani talenti torinesi (il violinista Edoardo Grieco, il violoncellista Francesco Massimino e il pianista Lorenzo Nguyen, che insieme hanno dato vita al Trio Chagall) Pretto suonerà il 29 novembre alle 21 al Teatro Vittoria di Torino per QUADRATO, il concerto conclusivo della rassegna da camera dell’OFT dal titolo FORME.
In programma pagine di Haydn (il Divertimento in do maggiore Hob. IV:1 dai London Trios), Mozart (la Sinfonia n. 40 in sol minore K 550 nella versione per pianoforte con accompagnamento di flauto, violino e violoncello di Muzio Clementi), insieme a una chicca di Martinů, il Trio per flauto, violoncello e pianoforte H 300. L’appuntamento è preceduto, domenica 28, dalla prova di lavoro aperta al pubblico a Più SpazioQuattro (dalle 10 alle 13).
Maestro Pretto, avete dedicato al quadrato il concerto che chiude FORME. Sono innumerevoli gli studi che indagano i legami tra forme geometriche e suoni: da Bussotti alla Cimatica e alle altre teorie che studiano i modelli geometrici in relazione a onde sonore e armonici, passando per Tymoczko, che ha provato a spiegare visivamente non solo come funzionano armonia e melodia ma anche perché alcune pagine risultano più facili all’ascolto di altre (spingendosi così in terreni scivolosi). Che cosa vi ha spinto ad associare questa rassegna da camera a cerchio, pentagono e quadrato?
«Il ricorso alle forme rappresenta una (volutamente vaga) allusione: da un lato al numero dei partecipanti, dall’altro al concorrere, ogni lato per suo conto, alla formazione di una figura chiara e distinta che infine prevale. Nella musica da camera, infatti, è come se ogni musicista rappresentasse un lato che non può sussistere da solo, ma necessita di tutti gli altri per dare vita alla forma finale.
Il pentagono rappresenta i cinque musicisti necessari all’esecuzione del quintetto La trota di Schubert, il quadrato i quattro musicisti del Quartetto-Sinfonia di Mozart-Clementi, mentre il cerchio sottolinea l’uniformità ottenuta da un sestetto di soli strumentisti ad arco che, diversamente da quanto accade negli altri due concerti, generano il suono dal medesimo atto fisico. Il tema verrà ripreso nella stagione d’orchestra OFT, con il passaggio da forme bidimensionali come quelle citate a quelle tridimensionali di sei poliedri».
Il linguaggio di Martinů viene spesso catalogato come neoclassico: nella produzione cameristica e, in particolare, nel Trio per flauto, violoncello e pianoforte H 300 di Martinů che proponete, c’è secondo lei un rapporto di discendenza diretta dal classicismo di Haydn e Mozart?
«Il Trio per flauto, violoncello e pianoforte appartiene di diritto alla migliore letteratura cameristica con flauto della prima metà del Novecento. Lo stile di Martinů è a mio avviso un neoclassicismo di seconda mano, nel senso che si rifà non agli originali settecenteschi ma direttamente ai suoi epigoni moderni. Insomma, ha più parentela diretta con Stravinskij o certo Šostakovič che con Haydn. C’è sempre nel suo stile strumentale il piacere della scrittura agevole, attillata alle caratteristiche dello strumento. Una scrittura mai impervia, ma unita a una certa indole leggera, piacevolmente fanciullesca, o sinceramente dolente, come nel bellissimo tempo centrale di questo Trio, sicuramente il momento più profondo e drammatico del brano. Per il resto il contrappunto è di presa immediata e di piacevole ascolto. Ho suonato moltissime volte questo Trio in gioventù e ricordo invariabilmente molto entusiasmo nel pubblico».
Martinů è stato un compositore prolifico in tutti i generi musicali, ma il suo repertorio cameristico in particolare è poco eseguito. Quanto è importante riscoprirlo oggi?
«È importante riscoprirlo assieme a tutti quegli autori, sostanzialmente suoi coevi, che scelsero di testimoniare un’alternativa artisticamente alta e personale, sia rispetto all’inasprimento gratuito del linguaggio da un lato, sia alla troppo facile restaurazione dall’altro, come il suo maestro Roussel, o il suo amico Honegger, altro grande compositore gravemente sottovalutato. E molti molti altri che continuiamo a ignorare colpevolmente».
Recentemente si è sollevata una polemica sul tiepido interesse della stampa generalista nei confronti di Gibboni, il nuovo vincitore del Premio Paganini. Avendo lei spesso a che fare, come in questo caso per QUADRATO, con giovani musicisti, come vede le nuove generazioni e quali scenari li attendono?
«Il silenzio dei media su successi eclatanti come quelli di Gibboni, Armellini e via dicendo è la chiara rappresentazione del comune sentire del nostro Paese riguardo alla musica colta, percepita come qualcosa di elitario e vissuta dai più con distacco e disinteresse. Questo tipo di arte richiede uno sforzo per essere compresa, basato su un’educazione progressiva che è ben lungi dall’essere non dico ottenuta ma nemmeno progettata su numeri più grandi. Sotto questo aspetto intravvedo comunque un netto peggioramento rispetto a trenta o quaranta anni fa.
I migliori di questi giovani chiedono solo di fare musica, e di farla bene. Sceglierla bene, studiarla in modo davvero approfondito ed eseguirla davanti a chi la sa apprezzare profondamente. Il giochino dell’elemento circense, spettacolare, extra-musicale, l’imbonimento degli spettatori volto a conquistare masse che non verranno mai sta per finire, mi sembra, e per fortuna. Sento da parte di molti di loro la voglia di tornare alla musica fatta in modo serio, e fruita da chi ascolta con la stessa gioiosa, creativa serietà. Mi sembra che i migliori di questi giovani vogliano tornare al più presto all’inevitabile concentrazione necessaria a tutta la musica d’arte, di qualsiasi epoca essa sia».
Edoardo Pelligra