Le grandi immersioni impongono il ricorso a una guida esperta, per questo, nel secondo appuntamento della stagione autunnale dell’Orchestra Filarmonica di Torino, intitolato PENTAGONO, quattro giovani talenti si faranno condurre dal pianista toscano Andrea Lucchesini nell’esplorazione di due capolavori del repertorio cameristico ottocentesco: il Trio n. 2 in do maggiore per archi e pianoforte op. 87 di Johannes Brahms e il Quintetto in la maggiore per pianoforte e archi op. 114 ‘La trota’ di Franz Schubert.
Il concerto è programmato per lunedì 8 novembre (Teatro Vittoria, ore 21) ed è preceduto dalle prove aperte al pubblico domenica 7 novembre (Più SpazioQuattro, dalle ore 10 alle 13).
In attesa di questo imperdibile doppio appuntamento, abbiamo intervistato il maestro Lucchesini.
Maestro, oltre alla sua consistente attività concertistica, lei si dedica anche all’organizzazione musicale e all’insegnamento, in particolare presso la Scuola di Musica di Fiesole ma anche al’Accademia di Musica di Pinerolo e al Mozarteum di Salisburgo. Nei lunghi mesi di chiusure totali e parziali, quale di queste attività è stata la più penalizzata?
«L’unica attività che ha subito una vera interruzione è stata quella dei concerti, mentre l’insegnamento è proseguito (inizialmente solo online, purtroppo), ma già a fine primavera in presenza, rispettando rigidi protocolli di sicurezza. Per quanto riguarda l’organizzazione, l’Accademia Filarmonica Romana (che dirigo fino alla fine di quest’anno) non poteva fermarsi: nel 2021 c’è il bicentenario della fondazione, e così si è fatto di tutto – online, a capienza ridotta, all’aperto – per festeggiare comunque questa data importante».
Lei propone corsi e masterclass sia di pianoforte sia di musica da camera. Fra questi insegnamenti, quale trova più stimolante?
«Trovo che l’insegnamento sia una bellissima opportunità per condividere quello che abbiamo imparato della musica (a maggior ragione avendo avuto la fortuna di crescere accanto ad una grande musicista e didatta come Maria Tipo). Ho dedicato tante energie sia al repertorio solistico sia alla musica da camera, e tutti e due i tipi di lezione sono stimolanti, se si stabilisce un contatto positivo e l’atteggiamento dei ragazzi è ricettivo; una delle cose più interessanti dell’insegnamento è proprio la componente creativa della lezione, che si sviluppa in base al modo di rapportarsi di ciascuno rispetto agli altri».
Come descrive il progetto dell’OFT che lo vede nella doppia veste di tutor e di interprete?
«Porto con me un bagaglio di esperienza che in questi anni è stato continuamente ampliato, e sono sicuro che sarà divertente lavorare con i giovani interpreti del progetto dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Far musica da camera significa impegnarsi tutti insieme come un equipaggio in navigazione, e sono sicuro che il viaggio sarà emozionante».
La prima parte del viaggio percorrerà il Trio op. 87 di Brahms, una pagina non particolarmente turbolenta e tutt’altro che facile. Sin dalle indicazioni, come “più tranquillo poco a poco”, “poco meno presto” e “poco forte”, l’autore pretende dai suoi interpreti grande sensibilità per le sfumature, le mezze tinte…
«Le indicazioni di Brahms si prestano a più letture, proprio a causa della loro indefinitezza; ovviamente dopo tanti anni di frequentazioni brahmsiane ho una mia visione, che condividerò con i membri dell’ensemble. Amo moltissimo il Trio op. 87, e vorrei puntare se possibile sulla qualità del suono e sul respiro della frase: Brahms richiede agli interpreti di andare oltre le difficoltà di scrittura, alla ricerca dello spessore espressivo, che si trova “pescando” nel profondo; il ruolo registico del pianoforte in questo senso è di grande aiuto per indirizzare il lavoro del gruppo».
L’anno scorso ha completato un ciclo di tre incisioni delle ultime opere pianistiche di Schubert. Nel concerto torinese, di questo autore, proporrà il Quintetto “La trota”. Qual è il suo rapporto con il compositore?
«Mi sono innamorato di Schubert diversi anni fa, e il lavoro sulle ultime opere pianistiche è stato per me fonte di grandissima gioia. Nella sua musica mi piace tutto: l’apparente semplicità di una scrittura che arriva diretta, capace di rinnovarsi continuamente per molte pagine, modificando piccoli dettagli armonici o ritmici, oppure di scartare improvvisamente verso il dramma: in questa musica l’animo umano pulsa in ogni istante delle sue passioni, malinconie, reminiscenze e sogni; è un gran privilegio condividere tra musicisti e con gli ascoltatori tutto questo, in un dialogo che resta sempre vivo».
A proposito di Schubert, ha dichiarato che uno dei suoi tratti distintivi è quello di chiedere all’interprete come all’ascoltatore di non avere fretta. “Non avere fretta” potrebbe essere anche un buon consiglio per i giovani interpreti che stanno iniziando la loro carriera professionale?
«Senza dubbio, ma più vado avanti più mi pare difficile dare consigli. In quest’epoca dominata dall’esigenza di emergere e contraddistinta dalla visibilità tecnologica credo che dobbiamo tutti ricordare che è invece fondamentale immergerci nella musica, e lo si può fare solo con un passo lento e costante: suonare significa soprattutto restituire qualcosa che abbiamo fatto diventare nostro, con passione e pazienza».
Liana Püschel