Leggero, elegante, magico: ecco il Mendelssohn di Johan Dalene

30Johan Dalene, violinista svedese, 21 anni appena, ma una carriera già avviata verso le vette del successo, è uno di quegli artisti a cui possiamo permetterci di dare del tu. E non solo per ragioni anagrafiche. Possiamo dargli del tu perché, come molti interpreti della sua generazione, ha un atteggiamento che accorcia le distanze, uno stile comunicativo lontano dalle liturgie ingessate e da quell’aura di intangibilità che per molto tempo ha accompagnato i musicisti classici.
Spigliato e disinvolto, pensa e parla come i ragazzi della sua età, ma quando prende in mano lo strumento rivela una straordinaria maturità artistica. Martedì 12 aprile (ore 21) potremo ascoltarlo, insieme con l’Orchestra Filarmonica di Torino, sotto la guida del direttore Giampaolo Pretto, nell’esecuzione del celebre Concerto in mi minore op. 64 di Felix Meldelssoh.
Come da tradizione di Oft, la serata (che prevede anche la Serenata n. 1 di Brahms) sarà preceduta da una prova di lavoro presso la sala Più SpazioQuattro (il 10 aprile alle 10) e, il giorno successivo (ore 18.30) da una prova generale al Teatro Vittoria.
La tappa torinese di Dalene, che per la prima volta approda nella nostra città, è una bella opportunità per chiacchierare con lui di musica e non solo.

Johan, in questo periodo la tua carriera di concertista sta letteralmente prendendo il volo. Recentemente sei stato selezionato come Astro Nascente dalla European Concert Hall Organization (ECHO), cosa che ti sta portando a suonare in alcune tra le più prestigiose sale d’Europa. Che cosa significa tutto questo per te?
«Va detto innanzi tutto che la straordinaria opportunità offerta dal programma ECHO è arrivata dopo un periodo molto critico, che mi ha tenuto lontano dai concerti per mesi. Mi riferisco, ovviamente, ai lockdown delle stagioni 2020 e 2021. Soprattutto dopo un tempo tanto difficile, poter suonare in contesti così importanti è una gioia enorme, di cui sono molto grato. Gli ultimi due mesi, poi, sono stati particolarmente intensi: forse, finora, i più intensi della mia vita, con un tour ininterrotto di concerti. Un’esperienza incredibile, soprattutto per una persona della mia età».

Torniamo per un istante ai due anni appena trascorsi. Un tempo difficile, dicevamo… Come hai passato i lunghi mesi di lontananza dalle scene?
«È stato un tempo strano, imprevisto. Non sono il tipo che riesce facilmente a stare a casa, senza avere progetti e obiettivi. Naturalmente ho cercato di usare quel periodo meglio che potevo, continuando a perfezionarmi e studiando repertorio nuovo. Però è stata davvero dura, perché quando non hai di fronte a te qualcosa di concreto per cui lavorare, ad esempio un concerto o un’incisione discografica, anche tener vive la motivazione e la costanza nello studio diventa più difficile… Però qualche piccolo lato positivo c’è stato: ad esempio, restando a casa ho avuto più tempo per parlare con i miei amici e qualche volta mi sono perfino cimentato con la cucina!»

Musica e cucina… due mondi più vicini di quanto si creda, ma veniamo al Concerto di Mendelssohn, una pagina notissima e sempre molto amata dal pubblico. Come pensi di approcciarlo? C’è qualche particolare chiave interpretativa che ti guida nell’esecuzione?
«Pur nella ovvia diversità di stile, trovo che la musica di Mendelssohn abbia qualche affinità con quella di Mozart, perché punta a un ideale di leggerezza ed eleganza. Non è mai troppo drammatica. Pur presentando momenti di grande slancio, si mantiene lineare, pulita, chiaramente intelligibile. Ecco perché eseguire questo concerto è sempre bellissimo: penso, in particolare ad alcuni momenti di lirismo e tenerezza, come il secondo tema del primo movimento».

C’è chi ha voluto scorgere, in alcuni passaggi del Concerto, similitudini con le atmosfere nordiche e fiabesche del Sogno di una notte di mezza estate. Sei d’accordo con questa lettura, anche alla luce del tuo lavoro di esplorazione del repertorio nordico?
«Sì, assolutamente, anche se atmosfere di questo tipo si ritrovano anche in altre opere di Mendelssohn. Nello specifico del Concerto, credo che l’ultimo movimento, dal carattere di danza, riveli una sottile vena folk».

Una musica piena di eleganza e magia, così distante dalle immagini tremende che in questi giorni tutti abbiamo negli occhi. Di fronte alla brutalità della guerra, credi che la musica possa aver un ruolo nel costruire una cultura di pace?
«È una domanda che spesso mi pongo anch’io, in questi giorni… In effetti è impossibile non pensare a quanto sta accadendo in Ucraina: qualcosa di terribile, di inconcepibile, che mi spaventa molto. E d’altra parte, quando vai a un concerto, per il tempo dell’esecuzione riesci a volar via sulle ali della musica. Come interprete, credo fortemente in quella connessione che si crea con il pubblico, che porta le persone a vivere, insieme, un’esperienza bella. E nonostante tutto, credo che questo possa essere un segnale di speranza».

Lorenzo Montanaro