Miriam Prandi artista multitasking: al violoncello e al pianoforte per cambiare prospettiva

Salta subito all’occhio la particolarità del concerto dell’Orchestra Filarmonica di Torino del 14 gennaio (Conservatorio, ore 21) intitolato “Tennis Time” (con prove aperte il domenica 12 alle ore 10 presso +SpazioQuattro). Uno stesso nome, quello di Miriam Prandi, è associato a due concerti con strumento solista. E dunque, come in un’intervista doppia, ecco due interpreti in una sola: Miriam Prandi, da un lato seduta al pianoforte per il Concerto n. 12 in la maggiore K. 414 di Mozart, dall’altro che imbraccia il violoncello per il Concerto n. 1 in do maggiore Hob.VIIb:1 di Haydn.

Quali sono le caratteristiche comuni di questi due Concerti?
«Stiamo parlando di due capolavori classici caratterizzati da una plasticità sia della struttura sia della scrittura. Non a caso si adattano perfettamente alla versione più cameristica per orchestra d’archi. Ambedue dimostrano una grande ricchezza d’inventiva: in Haydn prevale l’abilità e l’originalità costruttiva, in Mozart, soprattutto nel primo tempo, l’abbandonarsi a un continuo fluire melodico. Ma sono simili per come il discorso musicale sembra scorrere con naturalezza e freschezza d’invenzione».

E qual è invece una caratteristica che li rende diversi?
«Certamente, Mozart e Haydn scrivono per due strumenti che hanno ben poco in comune dal punto di vista strettamente tecnico, eccetto forse la cantabilità classica nei tempi lenti, seppure sia una caratteristica più affine allo strumento ad arco. Haydn è ricco di contrasti dinamici, di effetti ritmici coinvolgenti, con un movimento lento di intensa liricità ma pur sempre giocato nell’ambito di un forte senso della forma. Con il K. 414 di Mozart ci troviamo di fronte a una continua invenzione melodica, un susseguirsi di momenti di tensione e distensione pervasi di un velato, malinconico lirismo. E per il pianista la difficoltà più grande è proprio il dover “cantare” l’aria operistica».

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Qual è il momento o l’aspetto più difficile nelle due partiture?
«L’ultimo tempo del concerto di Haydn è, dai tempi di Rostropovič, oggetto di gare di velocità tra gli interpreti. Ma la brillantezza di questo brano dipende più dalla verve ritmica, e tempi troppo veloci non darebbero respiro e spazio alle sfumature. La difficoltà principale forse risiede nel far risaltare questa vivacità e la potenza ritmica, riuscendo a mantenere un equilibro che rispetti lo stile del compositore. Per quanto riguarda Mozart, la leggerezza, il “cristallino” nelle ornamentazioni e la trasparenza armonica sono al centro del mio interesse. In queste pagine di grande invenzione melodica la vera difficoltà è realizzare una caratterizzazione che non intacchi quella fluidità del discorso musicale e che non disorienti l’ascoltatore».

Qual è il colore che più emerge da entrambi le opere?
«Nell’interpretare questi due capolavori classici mi sembra inevitabile l’accostamento al campo operistico: penso per Mozart alla varietà drammaturgica e alle arie della trilogia, in particolare sono di grande ispirazione per me le incisioni di Teodor Currentzis con MusicAeterna dove anche l’accompagnamento dell’opera “canta” e dialoga insieme alle voci soliste. In Haydn penso anche al virtuosismo barocco di Vivaldi, con un’articolazione accentuata senza trascurare ovviamente quella profondità, intensità di sentimento del secondo tempo».

Come descriverebbe le sue due anime?
«Sono innanzitutto violoncellista, e il progetto in veste pianistica risponde al tentativo di abbracciare un’esperienza musicale più complessa che possa aiutarmi a penetrare meglio la complessità dell’espressione artistica. In una metafora che mi è cara, la visione come pianista mi permette di osservare il mondo dall’alto nella sua totalità, mentre lo sguardo dal violoncello è più prossimo, è come sedersi e ammirare i particolari all’altezza di un fiore».

E per completare il programma, mentre l’artista multitasking cambia prospettiva e strumento, l’Orchestra Filarmonica di Torino, guidata dal maestro concertatore Sergio Lamberto, si rende interprete di una sinfonia “tascabile”, la Pocket Symphony di Angelo Lavagnino, compositore del Novecento, agile autore di colonne sonore. Una sinfonia in perfetto equilibrio tra spirito poetico e ironico, per il cambio di campo in questo “Tennis Time” siglato OFT.

Monica Luccisano