Marco Pierobon, già prima tromba del Maggio Musicale Fiorentino e dell’Orchestra di Santa Cecilia, è tra i componenti del quintetto di fiati Gomalan Brass, un gruppo che da diversi anni cerca di proporre la musica classica in una chiave accessibile e ironica. Lo stesso spirito anima La Palestra, il concerto dell’orchestra d’archi della Filarmonica torinese diretta da Sergio Lamberto e che lo vede non soltanto tromba solista ma anche arrangiatore dei vari brani.
Maestro, qual è l’origine dell’idea sportiva alla base del concerto?
«L’idea sportiva nasce prevalentemente da un confronto, una gara, fra due compagini musicali poste in contrasto fra loro. La tromba solista, in compagnia della batteria e l’orchestra d’archi. A parte i brani di Neruda e Hindemith, tutto il resto del programma si basa su trascrizioni di pagine molto note ma destinate a formazioni differenti. La sfida si acuisce ulteriormente visto il terreno di gioco su cui si svolge: una sorta di borderline fra modalità classica e jazz, terreno su cui l’orchestra d’archi solitamente si avventura molto di rado».
Come ha manipolato i pezzi in programma?
«Le songs di George Gershwin vengono proposte in un riadattamento tratto dagli arrangiamenti che Gershwin stesso aveva eseguito per pianoforte solo: titoli e melodie immortali, immediatamente riconoscibili, rese qui in una veste leggermente diversa dall’originale per voce e orchestra. West Side Story è stata da sempre saccheggiata da arrangiatori senza scrupoli, che ne hanno tratto una moltitudine di Suite e di brani staccati, e Bernstein stesso ha fatto della sua opera una Suite di danze sinfoniche. L’arrangiamento attuale risente delle versioni originali e della rielaborazione “danzante” di Bernstein: un mix di swing, ritmi latinoamericani e melodie purissime. Il concerto chiude con un’altra Suite, tratta da Porgy and Bess, ancora di Gershwin. L’orchestra qui si confronta con un linguaggio ancora più votato al jazz. Ovviamente la batteria, elemento estraneo in prima battuta, servirà invece da collante fra i due contendenti, smussando la “classicità” dell’orchestra d’archi e raccordando ad essa il suono della tromba solista. I bis? Ovviamente non si annunciano, ma ne usciranno delle belle!».
Gershwin e Bernstein sono i príncipi di una linea ben precisa della musica americana. In che genere di relazione si trovano in questo concerto?
«A mio avviso tra i due si nota una continuità se non altro di intenti, essendo il linguaggio molto diverso. L’intento è quello di forzare la mano sulla tradizione inserendo elementi di rottura. In Gershwin l’elemento di rottura è il linguaggio stesso, ossia le pronunce dello swing che entrano nel mondo dell’opera, dell’orchestra e della musica “colta”. In Bernstein questo è reso ancora più evidente dall’inserimento di materiale musicale profondamente differente da quello proprio della musica colta occidentale e dall’enorme importanza data alle percussioni della tradizione latinoamericana. Dal canto mio, adoro l’idea della contaminazione di stili e generi, l’orchestra e lo swing, violoncelli e batteria, Neruda e Gershwin. Ovviamente ciò costituisce una sfida nella sfida, in quanto i musicisti coinvolti devono essere convincenti in ambito barocco/classico, nel linguaggio jazzistico ed in quello latinoamericano. Ma in palestra le sfide sono all’ordine del giorno!»
Federico Capitoni