Nella Stanza dei giochi leggiamo Haydn, Schubert e Stravinskij

Raggiungiamo Marco Angius a Cagliari dove è impegnato a dirigere il dittico composto da Cavalleria rusticana di Mascagni e Santa Susanna di Hindemith. «Da trent’anni ormai mi dedico prevalentemente alla musica contemporanea – afferma – ma ritengo importante arricchire il mio bagaglio e la mia esperienza, e questo mi porta a scoprire interessanti e curiose affinità tra opere anche distanti nel tempo».

Maestro, il concerto del 5 giugno rappresenta il suo debutto sul podio dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Come nasce la vostra collaborazione?
È nata dall’amicizia e dalla stima professionale nei confronti di Giampaolo Pretto, che ho avuto modo di conoscere nel 2000 a Città di Castello, in occasione della prima assoluta di Studi per l’intonazione del mare di Sciarrino, dove era impegnato come uno dei flauti solisti. Poi negli anni successivi abbiamo approfondito la conoscenza incontrandoci varie volte a Torino per Rai Nuova Musica. 

Da direttore specializzato nel repertorio contemporaneo ritiene che l’assiduità con la musica di oggi influisca nell’interpretazione della musica del passato?
Negli ultimi anni ho maturato un’idea diversa sulla musica contemporanea e sulla musica del passato: sicuramente esiste una differenza molto netta tra il repertorio della musica sperimentale, dagli anni Cinquanta ad oggi, rispetto alla musica precedente e questo richiede un diverso tipo di interprete. Però quando mi accosto a una musica del passato (addirittura Haydn e Schubert, come accade con l’OFT) trovo un motivo di interesse nel rileggerla in un’ottica presente. L’aspetto archeologico, il restauro del passato mi interessano poco e cerco invece di mettere in luce quanto un’opera del passato possa essere attuale. L’esperienza fatta con la musica contemporanea mi porta a affrontare l’interpretazione del repertorio valorizzando aspetti che solitamente restano in secondo piano, tramite una lettura più analitica e concentrata sull’unicità e l’originalità di ciascun brano. Dopo tanti anni di frequentazione della contemporanea mi viene quasi spontaneo pensare la musica come un oggetto sonoro organico, non necessariamente da approcciare secondo le classiche categorie storiche e stilistiche. Forse si tratta di appigli utili per l’ascoltatore (che si sente più ben disposto verso brani musicali più noti) tuttavia per il musicista non è altrettanto vero. L’interprete ha infatti il compito di ricreare un’idea musicale. L’opera non esiste in sé e per sé, ma prende vita solo nel momento in cui è eseguita. Un conto è la partitura scritta un conto il suono ascoltato. Posso infatti accostarmi a una partitura come se fosse un quadro, leggendo le note e decifrandole, ma all’atto dell’ascolto può realizzarsi una distanza abissale tra il segno e il suono, come effetto di molteplici fattori: l’orchestra, l’acustica, gli strumenti, il direttore… Il compositore scrive l’opera ma non ne è il proprietario, perché l’opera segue il proprio destino, rivivendo in modo sempre un po’ diverso ogni volta che viene eseguita. Per questo la musica è inafferrabile e non riesco a essere d’accordo con chi dice che bisogna eseguire “solo ciò che è scritto”. Io trovo che il segno scritto delimiti il campo, ma il ruolo dell’interprete consiste nell’andare oltre questo perimetro, altrimenti saremmo solo degli esecutori…testamentari! L’interprete secondo me è una sorta di complice del compositore, che termina l’opera e la continua, però l’opera resta aperta: il segno scritto va infatti sempre decifrato e tradotto, e come ben sappiamo il verbo “tradurre” ha una certa affinità con il verbo “tradire” …

Secondo lei quali sono le strategie per far apprezzare maggiormente la musica contemporanea, che è ancora oggetto di una certa diffidenza?
Sicuramente la contemporanea in Italia non gode di vita facile perché si teme la reazione negativa dell’ascoltatore che paga il biglietto per essere soddisfatto nelle proprie aspettative. Certo, gli organizzatori devono utilizzare strategie di comunicazione efficaci per attrarre il pubblico, tuttavia, vista la generale crisi della cultura nel nostro Paese, il rischio è sempre dietro l’angolo, qualunque sia la proposta artistica… Il primo passo per far apprezzare la musica contemporanea è inserirla nei cartelloni, ma per farlo bisogna conoscerla molto bene. Solo così è possibile realizzare un dialogo autentico con la musica del passato e, come in questo concerto, far emergere relazioni e simmetrie. In qualità di direttore musicale e artistico dell’Orchestra di Padova e del Veneto ho organizzato una serie di incontri in cui il pubblico – con l’aiuto di un compositore e dell’orchestra dal vivo – possa entrare dentro l’opera e comprendere per quali motivi, a partire da una determinata estetica, si arrivi a una certa esperienza di ascolto. A mio avviso la musica contemporanea ha una forte valenza didattica: apre la mente e le orecchie dell’ascoltatore perché è una musica molto avanzata, molto pensata, talvolta tecnologica altre volte più intuitiva, ma sempre molto ricca.

Perché Haydn, Schubert e Stravinskij sono stati invitati insieme nella Stanza dei giochi?
Il nome di Haydn è molto legato al gioco, al divertimento musicale, inteso come invenzione compositiva che stupisce e spiazza l’ascoltatore con una miniera di sorprese. Tra tutte le sue Sinfonie, la n. 99 mi ha sempre attratto per motivi un po’ misteriosi: è pochissimo conosciuta ed eseguita. La scelta di Schubert, di cui eseguiamo l’Ouverture in re maggiore D 590, è coerente con l’ambientazione viennese della Sinfonia di Haydn. Stravinskij infine fa parte del programma della serata perché incorpora nelle sue composizioni la dimensione ludica. Pulcinella, una delle pagine del compositore russo più conosciute dal grande pubblico, è un gioco di “travestimenti”: sono stati infatti versati fiumi di inchiostro per stabilire se la derivazione dalla musica di Pergolesi sia reale o fittizia. È molto divertente questa ricerca dell’autenticità a tutti i costi, la rincorsa alla volontà originaria che ha determinato l’opera, anche se tutto ciò non è affatto necessario per l’esito musicale. Con Pulcinella Stravinskij omaggia il Settecento italiano e lo ricrea per fuggire a un presente estremamente deludente. Certamente si tratta di un Settecento trasfigurato, non filologico, anche se reinventato nel rispetto di determinate proporzioni, come il rapporto tra concertino e concerto grosso.

Per lei che cos’è “gioco”? Riesce a coltivare questa dimensione nella sua vita?
Per me giocare è sinonimo di scoprire e nella mia esperienza è un ambito strettamente legato al fare musica. Scoperta e curiosità possono sembrare categorie riferite al periodo dell’infanzia (come sembra suggerire anche il titolo di Stanza dei giochi), ma credo che queste siano caratteristiche indispensabili a maggior ragione per un musicista, dal momento che l’interpretazione di un brano richiede per l’appunto curiosità e l’impiego di metodi e tattiche, proprio come quando si gioca.

 

Laura Brucalassi