Con il concerto “School time”, il secondo della stagione, in programma martedì 12 novembre, gli Archi dell’Orchestra Filarmonica di Torino, sotto la guida del violinista e maestro concertatore Sergio Lamberto, ci conducono nel mondo dello studio, cioè in quella pratica quotidiana che appartiene a ogni musicista, tra rigore della ricerca e piacere della scoperta.
Il concerto nel Salone del Conservatorio Verdi, preceduto, com’è ormai tradizione, da una prova di lavoro aperta (domenica 10, sala +SpazioQuattro) e da una prova generale anch’essa aperta al pubblico (lunedì 11, Teatro Vittoria) offre un viaggio nelle possibilità tecniche ed espressive dell’orchestra d’archi, con pagine che spaziano da Frank Martin a Johann Strauss, da Igor Stravinskij a Leoš Janáček.
Approfondiamo, con il maestro concertatore, alcuni temi salienti della serata.
Maestro Lamberto, il concerto di novembre evoca la “scuola”. Che ricordi ha del suo periodo di formazione? Ed invece, nella sua attività di docente, quali sono le linee guida che la animano?
«La mia formazione è avvenuta, per fortuna, con grandi maestri che mi hanno insegnato non solo l’uso dello strumento, ma anche il valore dell’arte che pratichiamo. Con loro ho imparato, ad esempio, che la cosa più sbagliata che un interprete possa fare è suonare per apparire. Ciò che conta non siamo noi, ma la musica che eseguiamo. La cosa che più desidero, quella che cerco con maggior determinazione, è infondere in ogni studente la capacità di diventare il miglior insegnante di se stesso. L’insegnamento mi arricchisce di esperienze meravigliose. Non è solo una trasmissione del sapere, ma la creazione di una relazione necessaria a trovare il meglio di ogni individuo e adoperarsi per svilupparlo il più possibile».
Il concerto si apre con un brano di Frank Martin che ha un titolo emblematico: Studi per orchestra d’archi. In modo abbastanza peculiare, tuttavia, invece di prevedere l’esecuzione del brano da capo a fondo, il programma vede ogni movimento di Martin alternato ad altri brevi brani. In che senso, dunque, il programma fa riferimento all’esperienza della “scuola”?
«Il termine “studio” normalmente è qualcosa di progettato per risolvere o migliorare ciò che è inerente alla tecnica dell’interprete. Credo sia stato Fryderyk Chopin il primo, o uno dei primi, a concepire lo “studio” come brano da concerto, arricchendolo di interesse artistico-musicale e rendendolo fruibile nelle sale da concerto. Da quel momento lo “studio da concerto” diventa una nuova forma musicale che spesso presenta particolari aspetti di tecnica interpretativa o compositiva. Anche in questi Studi di Frank Martin c’è un preciso riferimento a tecniche che sono riscontrabili anche in lavori o esercizi destinati alla “scuola” dello strumento ad arco».
Quali sono le principali tecniche o caratteristiche compositive che vengono esplorate negli Studi di Frank Martin?
«Dopo un’Ouverture con ritmi rigorosi e punteggiati che funge da sipario, il primo studio Pour l’einchainement des traits usa incisi sottili, veloci, e li sposta rapidamente da una sezione all’altra. In questo modo si crea una melodia continua, che passa appunto dai violini, alle viole ai bassi e viceversa. Il secondo, Étude pour le pizzicato, impiega una gran varietà di sonorità pizzicate usando anche glissati ed effetti che ricordano il jazz. L’Étude pour l’espression et les sostenuto ha la particolarità di usare solo gli archi scuri, ovvero viole e violoncelli, con linee legate, alcune anche in registro alto (pur affidate a questi strumenti caldi e intimi), e rappresenta il cuore cantabile e lirico degli studi. L’ultimo – Étude pour le jeu fugué – propone invece un’intrigante fuga al centro della quale prende posto un’affascinante sezione corale».
È possibile rintracciare, nell’intera sequenza dei brani proposti durante il concerto, una sorta di fil rouge, che guidi lo studente-orchestra (e il pubblico con lui) fino a un “esame finale” rappresentato dalla Suite di Janáček?
«Naturalmente i brani che verranno eseguiti in alternanza agli Études stimoleranno la curiosità di trovare attinenze, paragoni, confronti con le caratteristiche tecniche e musicali di ogni brano di Frank Martin. Così si potranno individuare le linee melodiche del Preludio dalla Suite di Carl Nielsen, la vivacità del Pizzicato Polka dei fratelli Strauss, che pare sia stato il primo esperimento di brano eseguito con il solo pizzicato, il momento di intensa felicità dell’Arioso di Stravinskij e la bellissima Fuga del Sepolcro, scritta in rigoroso stile antico da Federico Maria Sardelli e che ha questo titolo perché al centro della composizione c’è una citazione vivaldiana presa appunto dalla Sonata “al Sepolcro” RV130 e non, come forse si può pensare, dalla Sinfonia “al Santo Sepolcro RV 16”.
Anche la Suite di Janáček è frutto di un particolare approfondimento volto ad un uso più libero dell’armonia, per renderla meno vincolata alle norme scolastiche in cui era stata formalizzata. Janáček perseguiva un nuovo impiego dell’armonia tonale, adattandola ai suggerimenti dati dalla conoscenza del folklore boemo. Nell’opera, quindi, si respira lo stadio iniziale della tendenza dell’autore a cercare quello stile personale che fece di lui uno dei maggiori compositori del ventesimo secolo».
In questo, come in tanti altri appuntamenti proposti dall’Orchestra, lei ha il delicato ruolo di maestro concertatore, termine che immediatamente allude alla ricerca di un equilibrio complessivo, ma che richiama anche il lavoro in mancanza di un direttore d’orchestra. Può raccontarci, in estrema sintesi, quali sono le peculiarità della concertazione che viene effettuata con il gruppo di Archi di OFT?
«Il lavoro di concertazione e di interpretazione è lo stesso che propone un direttore d’orchestra. Cerco di spiegare e proporre idee interpretative che siano utili alla buona riuscita del concerto, che creino coesione in ogni minimo particolare. Il mio principale obbiettivo è mettere in moto automatismi che non facciano più sentire il bisogno di un attacco o di un segnale per suonare. Come nella musica da camera è necessaria la conoscenza dell’intera partitura e soprattutto una partecipazione emotiva e spirituale più forte possibile da parte di ogni musicista. È un’esperienza formativa che mette alla prova, con una costante ricerca di armonia di intenti, non solo le capacità artistiche dei musicisti, ma anche quelle umane».
Lorenzo Montanaro