Schumann e Wagner, due rivoluzionari agli antipodi per SPRING TIME
Intervista a Marco Angius

Uno dei padri del romanticismo, William Wordsworth, definiva il tempo della primavera quello nel quale «aleggia nell’aria una benedizione che sembra infondere un senso di gioia». Proprio al trionfo della vita che rinasce, alle note sbocciate sotto il segno del risveglio della natura e del cuore è dedicato il concerto SPRING TIME che l’Orchestra Filarmonica di Torino propone martedì 18 febbraio alle 21 al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, preceduto dalla prova di lavoro di domenica 16 febbraio alle 10 a +SpazioQuattro.
Sul podio il gradito ritorno di Marco Angius, chiamato a dirigere l’Idillio di Sigfrido di Wagner accanto alla Prima sinfonia detta “La primavera” e al Konzertstück in fa maggiore per 4 corni e orchestra di Schumann, con solisti Marco Panella, Gabriele Amarù, Paolo Valeriani e Marco Peciarolo.
Interprete di riferimento del repertorio contemporaneo, Angius è direttore musicale e artistico dell’Orchestra di Padova e del Veneto. Alle spalle una carriera internazionale di prestigio alla testa di grandi orchestre quali l’Ensemble Intercontemporain, la Tokyo Philharmonic e la London Sinfonietta.

Maestro Angius, a Torino ormai è di casa dopo tanti concerti e opere prime che attestano la sua dedizione alla musica di oggi. A febbraio tornerà invece alla direzione dell’OFT con un programma romantico…
«Sono contento che il legame con la città e le sue formazioni principali, dalla Filarmonica di Torino all’Orchestra Rai fino ai complessi del Teatro Regio, si rafforzi ogni anno di più. La mia è una posizione privilegiata che mi permette non solo di portare l’esperienza maturata alla guida di varie compagini italiane, ma anche di imparare molto da altre realtà e migliorare quella che dirigo dal 2015. Lo scambio tra OFT e l’Orchestra di Padova e del Veneto inaugurato quest’anno è un’occasione fertilissima di collaborazione e confronto, che consente a entrambe le orchestre di essere presenti nelle rispettive stagioni.
Per il mio ritorno con l’OFT dopo il concerto nel 2018 ho ideato assieme al direttore musicale Giampaolo Pretto un programma che affianca due compositori rivoluzionari ma antitetici: Schumann e Wagner. Entrambi hanno vissuto in maniera profonda le vicende musicali dell’Ottocento tedesco, ma hanno assunto posizioni opposte sul rapporto fra musica e poesia. Temperamento lirico e mutevole, Schumann ha subìto il fascino dell’opera, ma non è andato oltre l’oratorio, cioè il teatro senza scene. Wagner, invece, ha creato una drammaturgia che, grazie alla sua organica integrità di parola, musica e azione, è ancora oggi fonte di studio e approfondimento».

L’Idillio di Sigfrido è però una delle poche pagine sinfoniche wagneriane che ha avuto una diffusione elevata nelle sale da concerto…
«Vero, ma l’Idillio è una sorta di quint’essenza della Tetralogia wagneriana. In esso riecheggiano per lo più i motivi dell’ultimo atto di Siegfried: il sonno di Brunilde, Sigfrido erede della potenza del mondo, la decisione d’amore, la rivelazione del canto degli uccelli nella foresta. Mentre Wagner elabora uno stile sinfonico all’interno del suo teatro musicale, Schumann considera le sue sinfonie una sorta di laboratorio dove sperimentare soluzioni orchestrali sempre in modo tormentato. La sua predilezione per le piccole forme, per le singole idee tematiche – così centrale nei pezzi brevi per pianoforte – viene confermata anche in questo campo apparentemente inconciliabile. Ma poiché le perfette costruzioni formali non si addicono al suo lirismo irrequieto l’architettura delle sue sinfonie risulta sempre incompleta. Della Primavera, per esempio, Mahler cura una riscrittura dell’orchestrazione che ho tenuto ben presente nella mia interpretazione. Ancor prima che nascesse la musicologia, solo un compositore di riconosciuta fama poteva sottoporre a revisione critica la partitura di un collega per rileggerla e aggiornarla!»

Schumann peccava dunque di imprecisione?
«Sì, ma non certo per trascuratezza. Semmai non era interessato alla logica lineare, all’organizzazione sintattica dettagliata e vincolante di cui si nutriva la sinfonia beethoveniana. Mentre Wagner sperimenta una nuova idea di scrittura del suono inventando addirittura segni speciali come il crescendo esponenziale, Schumann spesso non riporta le dinamiche in partitura perché punta a una compilazione più utopistica, sperimentale, liberata dalla precisione del segno».

La nozione di tempo è il filo rosso sotto cui l’OFT ha programmato quest’anno il suo cartellone, compreso il concerto Spring Time. Che valore ha per un musicista?
«È certamente una dimensione totalizzante e cruciale per chi fa musica. Quando si parla di “tempo” sarebbe più corretto usare il plurale perché la musica sinfonica è una combinazione di più dimensioni temporali. Ma quando dico “tempo” intendo anche “spazio”, perché il suono viaggia nello spazio in una determinata unità di tempo. Perciò i due parametri non sono dissociabili. Inoltre, il “tempo” in musica è anche psicologico, dato che raccoglie una successione di eventi. Questo aspetto è connaturato non solo alla musica di oggi, ma è una cifra che percorre tutta la storia della musica. Si pensi alla frase di Gurnemanz nel primo atto del Parsifal: “Qui lo spazio diventa tempo”. La musica ci consente di viaggiare nel tempo perché attraversa le epoche facendoci percepire i suoni così come sono stati concepiti in origine».

A chi partecipa al concerto sarà offerta la possibilità di assistere alle prove di lavoro e di prenotare persino un’esperienza di realtà virtuale che consenta di sperimentare l’emozione di star seduti in mezzo all’orchestra durante l’esecuzione. Che ne pensa?
«Trovo che siano iniziative lodevoli. Ho sempre favorito la formula della prova aperta a fini didattici perché per il pubblico è emozionante scoprire cosa avviene all’interno dei processi musicali e assistere all’interazione fra orchestra, direttore e solisti. In prova musicisti e spettatori condividono la dimensione più quotidiana del far musica che la ritualità del concerto, con le sue regole e i suoi comportamenti codificati (il saluto, gli applausi, l’abbigliamento), non consente. Quanto al viaggio virtuale nel tempo reale del concerto, mi è capitato di sperimentare qualcosa di simile in passato, facendo sedere per davvero il pubblico in mezzo all’orchestra. È molto difficile riportare all’esterno i rapporti di tensione e complicità, fatti di sguardo e concentrazione, che si creano sul palco. Ecco perché credo sia un’esperienza di ascolto allargato consigliabile a tutti!»

Valentina Crosetto