Una solida carriera internazionale da star del pianoforte, una laurea in filosofia con una tesi sull’estetica di Liszt e tanti riconoscimenti autorevoli, fra cui il Vendome Prize nel 2003. Sarà Giuseppe Albanese ad aprire, venerdì 1 febbraio (alle 20) e sabato 2 febbraio (alle 20.30) all’Auditorium Rai di Torino, il doppio appuntamento dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai con il Secondo Concerto di Giuseppe Martucci diretto da James Conlon.
Maestro Albanese, cosa si aspetta da questo ritorno a Torino?
Suonare con l’Orchestra Rai è per me motivo di grande responsabilità e soddisfazione. Nel 2011 ho avuto l’onore di debuttare a Torino con il Primo concerto di Liszt in occasione del bicentenario della nascita. A Conlon sono legato invece dal 2004, quando fui chiamato al Maggio Musicale Fiorentino per interpretare il Secondo concerto di Mendelssohn: ricordo ancora la sua grande signorilità nel riprendere alcune mie inesperienze durante le prove.
Il Concerto di Martucci è da molti considerato il suo capolavoro. Nasce nell’Italia del melodramma di fine Ottocento, ma è fortemente indebitato al repertorio strumentale tedesco. Una novità per l’epoca…
La figura di Martucci è ancora oggi toccata da pregiudizi che ne oscurano la centralità nel nostro panorama ottocentesco. Mentre l’Italia sfornava capolavori lirici, Martucci fu tra i primi a guardare Oltralpe e a promuovere la musica strumentale e il sinfonismo europeo con quel rigore missionario che ha contrassegnato il suo impegno da direttore, pianista, compositore. Il suo Concerto è un ibrido inscritto nel solco di Brahms (per ampiezza, magistero compositivo e attenzione alla forma) ma che tradisce una scrittura più lisztiana che brahmsiana: non è amabile, bada alla sostanza musicale prima ancora che alla decorazione. Certo, definirlo il “Brahms italiano” è una forzatura, ma non dimentichiamo che “In magnis et voluisse sat est” (Nelle grandi cose anche l’aver voluto è sufficiente).
Oggi il brano è una rarità che lei ha riscoperto e fatto propria insieme a pochi altri. Perché è stato oscurato così a lungo e quale valore assegna a questo recupero?
È probabile che col passare degli anni, nonostante il linguaggio piacevole e intellegibile, il brano abbia finito per interessare gli addetti ai lavori anziché il pubblico, uscendo così dal repertorio per entrare nei manuali didattici. Quando suono il Concerto, secondo la mia personale regia, cerco di servire le idee in modo efficace, perché riconosco che non siano di facile presa al primo ascolto. Riscoprire un’opera così impegnata, così poco “ruffiana”, ha sicuramente un altissimo valore educativo. Offre all’interprete un’occasione affascinante per esprimersi, ma soprattutto l’opportunità di incidere sulla sua ricezione nel futuro.
Valentina Crosetto