Trentacinque anni, il pianista francese Bertrand Chamayou è bulimico di musica, di lavoro, di scoperte. «Ho difficoltà a fare delle scelte – ha dichiarato -. Suono il pianoforte moderno e antico. Prenderò lezioni di clavicembalo e forse d’organo. Lavoro con jazzisti e musicisti di varietà… è vero, faccio troppi concerti ma non mi lamento. Finora, mi è sempre piaciuto salire sul palco! Sto pensando di rallentare un po’ per alimentare altri progetti, come la composizione. Era il mio desiderio di bambino, un desiderio che non ho ancora pienamente realizzato». Ogni anno tiene infatti più di cento concerti in tutto il mondo come solista e con orchestra, ma anche in gruppi cameristici, con partner come Sol Gabetta e i fratelli Renaud e Gautier Capuçon. Vincitore del Concorso Long-Thibaud all’età di soli 20 anni, Chamayou è l’unico a essersi aggiudicato per ben quattro volte il prestigioso premio francese “Victoires de la Musique”. Che si tratti di un fuoriclasse lo dicono anche una serie di mirabolanti premi, tra cui l’ECHO Klassik 2016 per l’incisione dell’integrale per pianoforte solo di Ravel.A Torino, per la stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, debutta (il 15 e 16 febbraio) con il Secondo concerto per pianoforte e orchestra di Saint-Saëns, pagina estrosa e a tratti imprevedibile, in cui la scrittura passa con disinvoltura dal Barocco al Classicismo, sino al più ispirato spirito Romantico; il pianista e compositore Zygmunt Stojowski sintetizzò felicemente: «il Concerto inizia con Bach e finisce con Offenbach». Niente di meglio per mettere in luce il pianismo sensibile, luminoso, flessibile e poetico riconosciuto dalla critica a Bertrand Chamayou. Fanno da “cornice” alla serata altre due pagine dove la danza è protagonista: Le Carnaval romain di Berlioz e la Sinfonia n. 5 di Čaikovskij. Dirige il lettone Andris Poga.
Un’altra personalità insaziabile e di vasti interessi è certamente quella di Hartmut Haenchen. Come definire altrimenti un uomo di 74 anni che pratica yoga, colleziona opere di grafica e sculture d’arte contemporanea, legge e scrive molto? Autore di fondamentali contributi saggistici, nel ruolo di direttore d’orchestra (che poi sarebbe il suo mestiere principale!) Haenchen è particolarmente noto e apprezzato per le sue interpretazioni di Richard Strauss, Wagner e Mahler. Proprio con Mahler torna sul podio dell’OSN Rai (il 22 e 23 febbraio) dopo il formidabile successo del marzo 2016, quasi per proseguire un discorso interrotto. Se allora infatti aveva diretto la Sinfonia n. 1 (oltre all’Adagio della Decima, e i Drei Orchesterstücke di Berg), oggi riparte da Blumine, l’Andante originariamente posto come secondo tempo della Sinfonia n. 1 e poi soppresso dall’ultima versione della partitura. Una rinuncia che andava in direzione di una maggiore coerenza, ma che comportò la perdita di una pagina luminosa e serena come questo “florilegio”, che rimase ineseguito sino al 1967, quando Benjamin Britten lo presentò da solo in un concerto al Festival di Aldeburgh, riportandolo all’attenzione del pubblico e degli studiosi. Ben altra visione del destino è invece presente nella seconda pagina in programma: i Kindertotenlieder (Canti per i bambini morti). Qui Mahler, «anticipando la sua vita» (come scrisse nel diario una sconvolta Alma all’indomani della morte della figlia Maria), si appropria dei testi autobiografici di Friedrich Rückert e fa vibrare le corde del pessimismo cosmico, dove non si contempla più alcuna gioia terrestre, nemmeno nell’apparente innocenza dell’infanzia, che anzi è vista come illusione di felicità. «Il destino che bussa alla porta» anche nella celebre Quinta sinfonia di Beethoven, un destino senza volto, cieco, implacabile, contro il quale l’uomo combatte eroicamente in nome della ragione. A partire dal lapidario inciso iniziale, i quattro movimenti procedono in modo ineluttabile verso un compimento già presagito, attraverso una sapiente progressione simbolica che porta all’apoteosi finale.
Laura Brucalassi