Cominati e Valčuha: sodalizio fondato sulla ricerca di nuovi stimoli

«Quando mi è stato chiesto di suonare la Fantaisie per pianoforte e orchestra di Debussy, non ci ho pensato su due volte. Per chi, come me, ami e frequenti il repertorio francese, era un invito a nozze. Insieme a Valčuha, abbiamo approfondito la pagina e l’abbiamo eseguita per la prima volta a Bratislava: ci è servito a rodare l’intesa in vista dell’appuntamento importante di Torino. Non si può dire sia un brano di nicchia, ma certamente esistono, nell’ambito della produzione di Debussy, occasioni d’ascolto più popolari». A parlare così è Roberto Cominati, finalmente ospite della stagione Rai dopo un’assenza di nove anni: l’ultima volta a Torino suonò Bartók, e sul podio c’era proprio Valčuha.«Il nostro affiatamento – spiega il pianista napoletano – è andato consolidandosi nel corso del tempo rivelando, pian piano, vari e non casuali punti di affinità, a prescindere dalle peculiarità stilistiche ascrivibili a ognuno. Sia io che Valčuha amiamo prendere in considerazione, quando possibile, proposte non per forza assodate: la scoperta sottintende nuovi stimoli».

La Fantaisie di Debussy, lo evidenziavamo prima, non è brano assimilabile al grande repertorio concertistico
«Non è sicuramente uno di quei pezzi che capiti di canticchiare tornando a casa, dopo avere assistito al concerto. Sono convinto che la pagina sia strutturalmente complessa, ma questo non ne limita la gradevolezza; semmai, forse, l’impatto immediato. E poi, la Fantaisie ha indiscutibilmente vari pregi».

Per esempio?
«Un’orchestrazione importante e accuratissima, tanto per cominciare. E il secondo tempo è magnifico, specie nella sezione lenta, la cui cantabilità avvolgente sembra anticipare certe sonorità moderne e un andamento quasi alla Bill Evans. La seconda parte del brano resta, secondo me, la più interessante sotto il profilo armonico. Timbricamente, però, è l’intero lavoro a risultare straordinario».

Come mai la scrittura non convinceva del tutto Debussy e non ha mai convinto fino in fondo, lo dicevamo, il grande pubblico?
«Onestamente, non saprei neppure dire perché. So che la prima esecuzione del 1890, già annunciata, saltò e il pezzo fu eseguito, postumo, nel 1919. Mi viene da pensare che, sotto vari punti di vista, l’opera fosse un po’ troppo avanti per l’ascoltatore di fine Ottocento».

Si chiama Fantasia e non Concerto, anche se del concerto ha non pochi tratti peculiari.
Solo un vezzo?
«No, non solo un vezzo. Diciamo che, nel 1890, l’autore non sentiva probabilmente la necessità di ascrivere la pagina entro i margini di un genere rigidamente codificato e legato all’ideologia romantica. Tenuto conto della natura del lavoro, ritengo che non avesse torto a pensarla così».

Stefano Valanzuolo