Gatti dirige le Sinfonie di Schumann con l’OSN Rai.
Il coraggio di osare nuove strade.

Il ciclo delle Sinfonie di Robert Schumann con Daniele Gatti e l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai il prossimo dicembre (Prima e Terza il 9 dicembre alle ore 20.30 e il venerdì 10 alle ore 20, Seconda e Quarta giovedì 16 alle ore 20.30 e venerdì 17 alle ore 20, il tutto all’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino) è un bel risarcimento, dopo l’integrale delle Sinfonie di Brahms tenuta a porte chiuse lo scorso anno per la pandemia.

Brahms e Schumann, insieme a Mahler e ai maestri della Vienna moderna come Schönberg e Berg, rappresentano il cuore del mondo musicale di Gatti, che non cessa d’interrogare le partiture di questi grandi autori, come peraltro quelle di qualunque altro compositore trovi sul leggio, alla ricerca di risposte che non sono mai definitive.

Sarebbe davvero magnifico se il pubblico potesse assistere alle prove del maestro Gatti, per godere lo spettacolo del lavoro certosino di concertazione tramite il quale prende forma a poco a poco l’interpretazione, ora mettendo in risalto una linea interna, ora bilanciando il peso delle varie voci in un accordo degli strumenti a fiato, ora spiegando la necessità di trovare un certo tempo nell’articolazione della frase.

A monte del lavoro con l’orchestra, chiaramente, sta una visione complessiva del lavoro, frutto di studio e lunga riflessione a tu per tu con la partitura, un’immagine che si rinnova e si precisa, inoltre, attraverso la concreta esperienza dell’esecuzione, modellandosi via via sul suono e sulle caratteristiche di ciascuna orchestra. Gatti, infatti, ha suonato le Sinfonie di Schumann con numerose formazioni, diversissime per natura, tradizioni, dimensioni, dall’Orchestra di Santa Cecilia alla giovane laPhil di Milano, dal Concertgebouw di Amsterdam alla Mahler Chamber Orchestra. Il filo rosso che lega esperienze così diverse tra loro, forse, è la ricerca della massima trasparenza nel suono degli archi, che permette di risolvere anche alcuni aspetti spinosi della scrittura polifonica di Schumann, tacciato di incompetenza nell’orchestrazione, o peggio ancora di debolezza mentale da parte della critica superficiale e accademica.

Qui, inoltre, affiora un altro tratto caratteristico dello Schumann di Gatti, il coraggio di osare nuove strade, di seguire le proprie emozioni senza badare a quello che potrebbero pensare gli altri, a sfidare senza paura le convenzioni preconcette dei filistei. Così come Gatti sente nelle Sinfonie di Brahms un cuore pronto ad esplodere, allo stesso modo percepisce in Schumann la sentinella all’erta nella notte, l’alfiere generoso pronto a infiammarsi d’entusiasmo e a battersi contro i fantasmi della propria mente.

Le quattro Sinfonie di Schumann, del resto, non sono un corpus organico, ma degli eccezionali squarci d’intimità nell’involucro ben serrato di una mente sufficiente a sé stessa. La Prima, per esempio, è un’esplosione di gioia impossibile da contenere, all’indomani delle nozze con Clara. La Seconda, invece, è lo specchio di un’anima irrequieta, con i suoi ritmi spezzate e le figure angolose, ma anche un lago di malinconia, che si spande dolcemente nell’Adagio espressivo. La Terza, in realtà ultima Sinfonia composta da Schumann, mostra un poeta che si misura con i grandi temi della storia e dell’arte, nel suo lavoro più romantico, e anche più lontano dagli ideali classici dei quali si era nutrito fin da ragazzo. La Quarta, infatti, era stata scritta subito dopo la Prima ma rimase nel cassetto fino al 1851, quando Schumann, come dichiara Clara nel frontespizio della partitura pubblicata nel 1882 nell’edizione delle opere, si decise finalmente a strumentare la particella. Non era vero, perché in realtà la Sinfonia in re minore era stata ritirata dopo la deludente prima esecuzione, e completamente rimaneggiata negli anni Cinquanta in vista di una nuova esecuzione a Düsseldorf.

Brahms preferiva la versione originale, più tersa e trasparente rispetto alla pesante orchestrazione successiva, e questo fu un motivo di attrito con Clara, ma il nocciolo della questione non è il suono bensì la sbalorditiva dimensione visionaria della Sinfonia in re minore, un lavoro che porta il pubblico sulle cime rarefatte di un mondo sconosciuto, in regioni che confinano con la poesia di Hölderlin e la pittura di Caspar David Friedrich. In altre parole, le Sinfonie, forse più che lavori di altro genere musicale, rivelano quanto Schumann sia un nostro contemporaneo, o addirittura cammini ancora avanti a noi, e questo probabilmente è proprio quel che piace a Daniele Gatti.

Oreste Bossini