John Axelrod, destinato alla musica

Americano di origine ma cittadino del mondo, John Axelrod torna sul podio dell’OSN per due concerti della serie RAI ORCHESTRA POPS (il 17 giugno e il 1 luglio).
Facciamo quattro chiacchiere con lui e scopriamo una persona molto amabile e in vena di confidenze…

Maestro Axelrod, lei è stato invitato molte volte dall’OSN Rai. Come descriverebbe il vostro rapporto?
«Con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai ho una relazione speciale. Ormai ci “diamo del tu” e questo rende senza dubbio migliore il far musica insieme. C’è anche un secondo fatto: abbiamo suonato un repertorio che va da Mahler, a Cajkovskij, a Sostakovic, a Viktor Ullman e Stravinskij, anche insieme a grandi solisti come Daniel Hope. Ciò dimostra la grande flessibilità dell’orchestra, sempre a suo agio nell’interpretare musiche di autori diversi. Invece per me, come direttore, è un’ottima occasione per mettermi alla prova e misurarmi con un repertorio variegato».

I concerti che dirigerà fanno parte della nuova serie “Rai Orchestra Pops” (in partenza il 10 giugno): chi ha scelto il programma e come?
«Il direttore artistico Ernesto Schiavi mi ha fatto alcune proposte e ci siamo confrontati. Poi mi ha detto: “Ci sono molti direttori possibili per Mahler, ma questa musica la puoi dirigere solo tu”. E così, ovviamente, mi ha convinto! Con la OSN avevamo già suonato Fancy Free di Leonard Bernstein (in programma nel primo dei due concerti, giovedì 17 giugno 2021) ed è stato un tale successo che… faremo il bis.
Duke Ellington è uno dei più grandi compositori americani e Scott Joplin, l’inventore del ragtime (di cui ascolteremo l’ouverture della sua opera Treemonisha, NdA), è – allo stesso modo – imprescindibile per la storia della musica. Va quindi ben oltre lo slogan “Black Music Matters”. Oggi siamo in cerca dell’uguaglianza. Ma il repertorio orchestrale, lo sappiamo, è fatto da compositori bianchi e defunti».

Vero! Carlos Kleiber in una delle sue lettere (recentemente edite dal Saggiatore) scriveva amaramente della “grande musica bianca morta”, e implicitamente sembrava prefigurarne la fine…
«Fortunatamente oggi c’è maggiore diversità. Non importa molto se i musicisti siano neri o bianchi, donne o uomini o da dove provengano: importa solo se siano bravi o no. Vogliamo della buona musica, e questa lo è».

Lei è stato allievo di Leonard Bernstein…
«Sono cresciuto in Texas con una nanny di colore di nome Lilly. Al posto delle ninne nanne, Lilly mi cantava Summertime (la famosa canzone di Gershwin, NdA). Sono stato un ragazzo bianco cresciuto in un ambiente di neri, dove quella musica ti veniva passata nel latte.
Ti racconto un segreto: ho un birth mark (una “voglia”) sul piede… una macchiolina (me lo ripete questa volta in italiano, NdA). Lilly ripeteva sempre che quello era il segno con cui Dio mi aveva destinato alla musica. Così disse a mia mamma: “Guarda, Johnny vuole suonare il pianoforte”. E qualche anno dopo sono stato accettato da Leonard Bernstein come allievo. Lenny aveva nel dito mignolo più ritmo di tanti altri in tutto il corpo. Era, davvero, puro ritmo! Forse ci siamo riconosciuti a vicenda attraverso questi segni del destino».

Il 17 giugno ascolteremo A Joyous Trilogy, brano nuovo di zecca del compositore afroamericano Quinn Mason…
«Quinn Mason è un talento emergente. Non c’entra che sia afro-americano: è un compositore americano e stop. La sua musica sta tra la brillantezza tipicamente americana di Aaron Copland e quella di John Adams. La differenza fra Johan Adams e Mason è che il primo è un compositore maturo e Mason invece ha una ventina d’anni ed è autodidatta. Sono felice di aver in qualche modo contribuito a scoprire questo talento. Ma ora ha commissioni da Fabio Luisi a Dallas, ad esempio, e in molti altri posti nel mondo.
Sarà la prima esecuzione europea di questo brano (composto nel 2019, revisionato nel 2021) e ho la fortuna di avere a disposizione un’orchestra di primo livello per eseguirlo. Lo registreremo e lo faremo diventare l’esecuzione di riferimento».

E il secondo concerto?
«Il 1° luglio, in qualche modo, completeremo il quadro celebrando la diversità della musica americana. La violinista Nicola Benedetti sarà l’interprete del concerto di Wynton Marsalis, di cui è dedicataria. L’idea di fondo è quella di aggiungere, aggiungere, aggiungere. Affiancheremo quindi la musica più tradizionale di George Gershwin (la Catfish Row Suite, ovvero la Suite tratta da Porgy and Bess, 1936), che ha portato il jazz nella musica classica, a quella del contemporaneo Marsalis, oggi il compositore di maggior rilievo nella musica nera.
Come ti dicevo prima, non si tratta solo di “black music” e non è neppure una serata “Black Music Matters”. In questi due concerti speciali Rai Orchestra Pops la “Great American Music Matters” (è la grande musica americana che conta, NdA). O, se preferisci un’etichetta, eccola: è un jazz gioioso (gioco di parole tra la gioia del jazz e A Joyous Trilogy, in italiano Una trilogia gioiosa, NdA). Ci divertiremo. Promesso».

Benedetta Saglietti