«Desideravo il violino e ho iniziato presto, a cinque anni; mio padre era trombettista nell’orchestra dell’Università di Brandon e sono stato circondato da musicisti fin da bambino». Futuro segnato, a suo dire, quello di James Ehnes, violinista canadese quarantenne e con un repertorio vastissimo, da Paganini a Dallapiccola, testimoniato da un’imponente discografia (oltre trenta incisioni, una delle quali nel 2007 lo ha portato a vincere un Grammy nella categoria “solista con orchestra”). Virtuoso solista e raffinato camerista ha fondato anche un quartetto che porta il suo nome, Ehnes sarà ospite a Torino dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai il 15 e 16 dicembre per eseguire il celebre Concerto op. 61 di Beethoven, che aprirà una serata composta anche dalla Suite da Antiche danze e arie di Respighi e da Pulcinella di Strawinsky.
Quello di Beethoven è uno dei concerti violinistici più eseguiti in assoluto. Che contributo diverso può dare una nuova interpretazione?
«Penso in generale che non sia una buona idea quella di definire la propria interpretazione in relazione a quella degli altri per arrivare a dare un nuovo contributo. Tutto ciò che si può fare è avere un atteggiamento onesto verso le proprie idee su ciò di cui il pezzo ha bisogno. Avere uno sguardo umile è più importante dell’individualità dell’interprete. Se si è onesti con se stessi, l’interpretazione sarà sempre unica, perché ogni interprete è unico».
Lei ha un repertorio molto ampio, che va da Bach a John Adams. Quale elemento di continuità trova nel passare dall’antico al contemporaneo?
«I brani che amo sono semplicemente quelli che mi commuovono, che mi dicono qualcosa a livello emotivo. E in questo senso credo che ci sia una continuità nella nostra storia musicale: i grandi compositori hanno sempre usato la musica per esprimere emozioni inesprimibili con altri mezzi».
Lei ha uno Stradivari unico, come d’altronde tutti gli Stradivari. Ce lo racconta?
«Il mio Stradivari è del 1715 e prende il nome di Marsick da Martin Pierre Marsick, che lo ebbe per un breve periodo alla fine dell’800. La qualità che preferisco di questo violino è che è molto versatile; ha una grande gamma di possibilità espressive e può essere lo strumento perfetto per Mozart, una settimana, e per Šostakovič quella successiva».
Non è la prima volta che suona con l’Orchestra Nazionale della Rai. Come si trova?
«Ho molti bei ricordi del lavoro con l’OSN Rai al Festival di Stresa ed è la prima volta che suono a Torino. Non vedevo l’ora. Avevo già lavorato con James Conlon e ogni volta è stata un’esperienza musicale memorabile».
Federico Capitoni