L’amore redentore di Wagner

Per la sua durata, relativamente breve rispetto alle opere della tetralogia, e la trama non eccessivamente complicata, Der fliegende Holländer (L’olandese volante, conosciuta anche con il titolo Il vascello fantasma) ben si presta a essere rappresentata in forma di concerto. La chiarezza dei ruoli, dei temi e dei personaggi permette una chiara comprensione in uno svolgimento privo di scene e azione. Purtuttavia, simbolicamente quest’opera – la prima, escludendo Rienzi, di un certo successo per Richard Wagner – ha molti elementi (tutti prodromici della poetica wagneriana) che lo stesso James Conlon, il quale dirigerà l’opera il 24 e 26 maggio all’Auditorium Toscanini, sa descrivere con molta chiarezza: «sono prevalentemente tre – dice -: l’outsider; il viandante; la donna redentrice».

La storia è lineare e prende spunto da un episodio delle Memorie del signor Schnabelewopski di Heinrich Heine, dal quale Wagner, ispirato da violenta una tempesta alla quale assistette in Norvegia, prese spunto per il libretto: si racconta la leggenda del marinaio che per aver imprecato contro Dio, è condannato a vagare senza sosta sul suo vascello finché l’amore di una donna fedele non riesca a redimerlo. Dunque l’Olandese è per prima cosa un reietto, un outsider appunto, ossia l’estraneo, il profano. Punito da Dio dovrà rimediare vincendo la maledizione e sarà questo «un carattere onnipresente nei successivi drammi di Wagner», sottolinea Conlon. Poi certamente è un errante (in una doppia accezione, evidentemente: colui che ha “sbagliato” e che viaggia senza posa): «ha vissuto – continua il direttore – solitario e sempre più amaramente, in mare, fuori da ogni altra società, incapace di avere una casa, incapace di riposare, incapace di trovare la serenità. Wagner trae ispirazione dal mito antico dell’Ebreo Errante e inizia una discendenza di esuli nelle opere seguenti». Infine c’è la donna. Ma non è semplicemente l’amante, o colei che completa la coppia, ha piuttosto una funzione divina: redime. Come osserva Conlon, «lei sacrifica la sua vita per riscattare un’anima maschile imprigionata nei suoi tormenti emotivi e metafisici e insegna al mondo il vero amore. La visione di Wagner è contemporaneamente rivolta al maschile (la sua sofferenza può concludersi solo con il suo sacrificio) ed egocentrica. Sebbene criticata per il suo pregiudizio maschile, questa visione suggerisce implicitamente che il maschio, distrutto dai propri conflitti e dai propri desideri, non può mai ottenere ciò che la donna possiede per diritto di nascita. Ella infatti incarna l’amore infinito ed è il nucleo dell’universo». Gli elementi psicologici sono certamente forti in quest’opera e vengono in un certo senso tenuti insieme da un altro personaggio tipico della psicologia operistica: il mare. Ben rappresentato dalla musica (l’ouverture è una tipica rappresentazione sonora della tempesta, da poema sinfonico), quasi preludendo al Peter Grimes di Britten, il mare è il nuovo spazio vitale – immenso eppur limitato – concesso all’Olandese: è violento e calmo; amorale, senza giustizia; la più limpida manifestazione della natura; metafora di forza, vita, morte, pace e seduzione. È il cosmo in terra e difatti, come commenta Conlon: «il compositore proietta le dimensioni mitiche del suo protagonista in un panorama cosmico. C’è disperazione, ma c’è anche devozione, sentimenti che insieme sfociano nel tema centrale di tutto il lavoro di Wagner: l’amore redentore».

Federico Capitoni