Mariotti dirige la Seconda di Sibelius: «Una confessione dell’anima»

«Case riflesse in un mare quasi immobile, montagne che riparano la baia da tutto tranne che dal vento del sud». Così appariva il Golfo del Tigullio al poeta irlandese William Butler Yeats, uno degli innumerevoli artisti del nord venuti a Rapallo per passare «quel che ancora rimane dell’inverno», come cantano i versi di una delle sue più famose poesie degli anni Venti, A Packet for Ezra Pound. L’incanto della luce e la dolcezza del Tigullio avevano stregato anche Wagner, che a Sestri Levante sentì dentro di sé il grandioso arpeggio in mi bemolle che apre l’Oro del Reno.
Non c’è da meravigliarsi, dunque, che agli inizi del Novecento anche l’immaginazione sonora di Jean Sibelius sia stata pungolata dal luminoso respiro del mare di Rapallo per abbozzare la sua Seconda Sinfonia, forse la più immersa, paradossalmente, nel lucore incerto ed enigmatico dell’aurora boreale.
Sibelius aveva già conquistato il cuore di una nazione priva dell’indipendenza con una serie di poemi sinfonici ispirati ai miti finlandesi, ma qui voleva eliminare ogni riferimento extramusicale per esprimere solamente in termini musicali l’emozione provata a contatto con la natura della sua terra. I suoi sostenitori volevano trasformare il grande artista in una bandiera della lotta per l’indipendenza, ma Sibelius voleva essere solo un musicista, e con la Seconda Sinfonia dimostra di esserci riuscito in pieno.
Molti anni dopo, nel 1943, Sibelius disse al direttore d’orchestra finlandese Jussi Jalas che la Seconda Sinfonia, percossa da ritmi barbarici e intarsiata di colori primitivi, era «una confessione dell’anima». In effetti, le forme sinfoniche tradizionali, dalle quali Sibelius non intende discostarsi, si trasformano in carne viva, traboccante di autentica emozione, che scuote il lavoro da cima a fondo.

La Seconda di Sibelius offre un bel contrasto, dopo la prima parte del concerto di giovedì 3 giugno (all’Auditorium Toscanini, ore 20) dell’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai diretta da Michele Mariotti. In apertura, infatti, l’autorevole violinista austriaco di origine lituana Julian Rachlin interpreta il perfetto Concerto per violino di Mendelssohn, la più alta sintesi di stile e pensiero della musica romantica, un capolavoro di grazia e intelligenza che non finisce mai di stupire a ogni generazione.
Parafrasando Schumann, Mariotti ha l’arduo compito di far danzare assieme una leggiadra fanciulla mediterranea e un massiccio gigante nordico. Il bello della musica, del resto, è proprio l’arte di armonizzare i contrasti, che non sono mai dissonanze ma solo consonanze diverse.

Oreste Bossini