Il nome per noi è quasi uno scioglilingua e anche scriverlo non è uno scherzo, ma ci abitueremo in fretta perché a poco più di trent’anni la direttrice lituana Mirga Gražinytė-Tyla sta percorrendo a passi lesti una carriera di prim’ordine: a 24 anni, nel 2010, debutta a Heidelberg e dalla stagione successiva vi ricopre un incarico stabile; a 26 vince il prestigioso concorso di Salisburgo, dove poi è per due anni direttrice musicale del Landestheater; approda con una fellowship a Los Angeles Philharmonic e ne diviene direttrice associata; e da due anni è alla guida di una compagine che ha un fiuto raro per i talenti emergenti e ha contribuito a lanciare le carriere di Simon Rattle, Sakari Oramo e Andris Nelson Andris, la CBSO (City of Birmingham Symphony Orchestra).
Ovviamente, è la prima donna in tutte queste posizioni, ma la questione di genere non sembra occupare granché i suoi pensieri: le è capitato, sì, raccontava al “Guardian”, di dirigere un coro maschile stupefatto di trovarsi davanti una donna, e ricorda che la nonna, violinista dell’orchestra nazionale lituana, le disse: «Dirigere, mia cara, non è propriamente un mestiere femminile». Gražinytė-Tyla oltretutto è minuta, piccolina, aggraziata, l’opposto, in sostanza, del cliché del maestro che domina l’orchestra dall’alto del podio, ma quando ci sale, essere una donna cessa per lei di essere rilevante: non è una battaglia per imporsi, ma il condividere musica con altri che la amano quanto lei. «Dirigere per me – racconta in un video della Los Angeles Philharmonic – è la combinazione di musica e comunicazione con chi suona; e poi è importante andare avanti col piacere di essere insieme alle persone.»
In effetti, guardandola mentre dirige, quel piacere è evidente, così come una fortissima comunicativa: c’è la bacchetta – a volte, altre dirige senza – e ci sono i gesti canonici, ma anche il corpo, che entra in gioco quasi danzasse, e una mimica vivacissima e variegata. È significativo che Mirga Gražinytė abbia creato il suo nome d’arte aggiungendo Tyla, una parola lituana che significa silenzio: «non è assolutamente necessario passare attraverso le parole per comunicare in musica e quando si è sperimentato questo altro modo di comunicare, si diventa dipendenti, non si riesce più a smettere.» Dopo averla ascoltata dirigere la Prima di Mahler, un critico californiano ha scritto che aveva reso il brano così vivido da dare l’impressione che ci fosse della stregoneria. Forse l’impressione scaturisce anche dallo scarto fra la sua figura diafana e delicata e la potenza sonora che riesce a materializzare, ma non ci sono arti magiche: c’è una conoscenza profonda della musica e un’agguerrita tecnica direttoriale (Gražinytė-Tyla è giovane ma viene da una famiglia di musicisti da generazioni e ha alle spalle la formazione di ferro di scuola sovietica) e c’è una personalità vigorosa con un’individualità marcata (racconta, Gražinytė-Tyla, la gioiosa meraviglia nello scoprire, quando si spostò, ancora giovanissima, a studiare a Graz, la libertà di pensiero).
A Birmingham da un anno è Mirgamania e pochi mesi fa l’autorevole settimanale di politica ed economia europee “Politico28” l’ha inserita fra le personalità più influenti del 2018: in tempi di Brexit e #metoo, di ventate nazionaliste e dell’esplicitazione di quanto ancora sia difficile per una donna vivere e lavorare, è affascinante trovarsi di fronte a una direttrice giovane, che guida da immigrata un’orchestra britannica e che affronta con disinvoltura, passione e stupefacente energia un ruolo ancora quasi esclusivamente maschile, trovando una via quanto mai personale e ottenendo un successo che sembra miracolosamente indiscusso. Appuntamento da non perdere all’Auditorium della Rai il prossimo 10 maggio!
Gaia Varon