Ottavio Dantone: «Suscitiamo vere emozioni, andando oltre le epoche»

Incontriamo il maestro Ottavio Dantone che dirigerà l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai nei concerti del 6 e 7 dicembre prossimi.

Maestro Dantone, con la Sinfonia n. 6 Haydn presenta il suo biglietto da visita alla corte e all’orchestra degli Esterházy di cui sarebbe stato per molti anni direttore: cosa ci scrive su questo “biglietto”?
«L’orchestra Esterházy aveva ottimi solisti e Haydn con questa Sinfonia ha voluto in un certo senso ingraziarseli, perché ha distribuito parti solistiche praticamente a tutti gli strumenti, un impegno che veniva remunerato con un supplemento. Ma al di là di questo aspetto meramente economico, Haydn ci consegna una pagina molto particolare: non esistono composizioni di questo tipo. Ci sono sinfonie concertanti, ovviamente, ma non, come qui, sinfonie in cui sono gli stessi musicisti dell’orchestra a rivestire a turno ruoli solistici. È un testo che mette in luce i talenti e le qualità dei singoli ed è dunque molto impegnativo».

A cosa si deve il soprannome “Il mattino”?
«Come spesso accade in Haydn, i titoli delle Sinfonie sono stati attribuiti a posteriori, non hanno un valore descrittivo e men che meno di musica a programma. Quasi certamente il titolo “Il mattino” si riferisce all’attacco della Sinfonia, così dolce e soffuso, seguito da un lento e progressivo crescendo dell’orchestra che sembra proprio evocare il sorgere del sole».

In una sua recente incisione di Sinfonie di Haydn con strumenti antichi (per Decca) si parla di esecuzione secondo lo “stile del tempo”. Che cosa cambia rispetto alle interpretazioni abituali?
«Innanzitutto vorrei puntualizzare che la riscoperta di un linguaggio, di uno stile, delle emozioni che caratterizzano la musica non è tanto una conquista ascrivibile agli strumenti antichi, che costituiscono solo un mezzo, certo indispensabile per ottenere agilmente determinate sonorità e articolazioni. Il fine ultimo di questo lavoro è però ricostruire un linguaggio che possa restituire le emozioni che il compositore aveva in mente, che sono poi le più forti. Non bisogna mettere sullo stesso piano i due aspetti, lo strumento moderno non impedisce affatto di raggiungere il risultato voluto. Deve venir meno questo settarismo che non ha ragione di esistere: la musica può essere fatta con qualsiasi strumento, basta riuscire a ragionarci bene e a tirar fuori il linguaggio più coerente ed emozionante. Negli ultimi decenni sono stati condotti studi molto accurati in questo senso; io stesso per vent’anni ho approfondito la retorica, la teoria degli affetti, il rapporto tra parola e musica, l’individuazione e la ricostruzione attraverso il linguaggio musicale di una coerenza di significati e di espressività».

Haydn non compose molte opere, diversamente da Mozart, che tra le Nozze di Figaro e Don Giovanni con la Sinfonia K 504 compone una delle sinfonie più teatrali…
«Si sente molto chiaramente che è musica composta vicino al Don Giovanni, la richiama per tanti aspetti e l’influenza del linguaggio operistico è davvero molto forte. È la Sinfonia che preferisco, perché ha una potenza espressiva e una solidità strutturale ammirevoli, e un’avanzata elaborazione contrappuntistica, soprattutto nei suoi tempi allegri. E poi Mozart qui ha delle intuizioni armoniche incredibili. È la sua Sinfonia più completa, a mio parere, quella che mi emoziona di più».

Nei novanta anni che passano tra il brano di Haydn e la Sinfonia Renana di Schumann la musica è cambiata parecchio. Da interprete del repertorio antico, quali sono gli approcci che possono illuminare in modo diverso la musica classica e romantica?
«Certamente il passaggio tra barocco e romanticismo è molto forte, filtrato più che da Mozart dal movimento Sturm und Drang, che ha veicolato un certo distacco dalle emozioni tipicamente barocco (nel senso che le emozioni lì vengono vissute ma vanno analizzate); nel Romanticismo invece l’uomo è veramente al centro delle proprie emozioni, vissute e tradotte in musica in modo sempre più diretto. Ma non ci sono svolte improvvise: la produzione musicale descrive un graduale cambiamento. I gesti musicali, strumentali ed espressivi tra Bach (che assumo volutamente a punto di riferimento assoluto) e Mozart non sono poi così diversi, e ancora per diversi decenni le cose non cambiano molto dal punto di vista della prassi. Si vanno affermando contrasti sonori, passioni più violente, ma ancora in Schumann si usavano strumenti “antichi”; voglio dire che il modo di ottenere il suono era molto più vicino all’antico di quanto intendiamo noi oggi. Non significa che dobbiamo affrontare Schumann con un approccio archeologico, sia chiaro, ma avendo la consapevolezza di tutto ciò si possono tracciare gesti che rendono la musica più trasparente ed efficace dal punto di vista espressivo, non più per riprodurre gli affetti settecenteschi ma per esprimere il sentimento dell’uomo romantico. Occorre penetrare l’estetica della musica non tanto per trovare “la” verità, ma per suscitare vere emozioni nel pubblico. E per raggiungere la vera emozione bisogna fare delle ricerche, bisogna studiare per ottenere il massimo dell’emozione. Questo è il vero punto che io mi prefiggo».

Simone Solinas