C’è ben poco di convenzionale nella vita di Patricia Kopatchinskaja, la violinista svizzera di origine moldava che sarà impegnata all’Auditorium “Toscanini” giovedì 26 e venerdì 27 maggio, rispettivamente alle ore 20.30 e 20, con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Marc Albrecht.
I genitori, entrambi musicisti, erano artisti di musica folk. La madre Emilia (violinista) e il padre Viktor (suonatore di cymbalom), sebbene di formazione musicale classica, erano abituati a improvvisare, a suonare senza spartito: una scuola di libertà che forse ha lasciato un’impronta anche sul modo di far musica della figlia, che in pratica è cresciuta con i nonni, a causa del lavoro dei genitori, molto spesso in tournée attraverso tutta l’Unione Sovietica.
Nel 1989, quando il mondo comunista stava cominciando a sgretolarsi, la famiglia decise di trasferirsi a Vienna, per dare la possibilità a Patricia, evidentemente dotata di un talento fuori dall’ordinario, di avere un’educazione di prim’ordine all’Università, perfezionata poi alla Hochschule di Berna. La brillante allieva di queste eminenti istituzioni avrebbe potuto facilmente farsi largo come interprete dei grandi classici del repertorio, ma il suo istinto la spingeva a cercare sentieri meno battuti. La musica, secondo questa violinista ben poco fedele alle ceneri della tradizione, è stata data agli uomini per esprimere quello che il logos, il pensiero razionale, non è in grado di esprimere.
Nonostante la tecnica solida e la chiarezza formale, i concerti di Patricia Kopatchinskaja destano sempre l’impressione di partecipare a un’esperienza sciamanica, non tanto per certi dettagli folkloristici delle sue esibizioni, come per esempio il fatto di suonare a piedi nudi (non sempre ma abbastanza spesso), ma piuttosto per la capacità del suono del suo violino di far scoccare una scintilla, un’emozione imprevedibile, un pensiero inaspettato, di entrare in contatto con un mondo sconosciuto.
Non chiedete a Patricia di modellare sul palcoscenico un oggetto d’arte perfetto, liscio e levigato, ripulito di ogni granello di imperfezione che rischierebbe di offuscare la sua bellezza. Lei preferisce invece prendere per mano lo spettatore e portarlo verso la linea d’ombra della vita, per gettare uno sguardo negli abissi del cuore, nel lato oscuro della normalità.
Pochi lavori sono più adatti a questo cammino sul crinale stretto tra guerra e pace, tra lucidità e follia del Primo Concerto per violino di Sostakovic, scritto per un gigante della musica come David Oistrakh. Le pagine di questo Concerto sono intinte nell’inchiostro della solitudine e del grottesco, della compassione e della miseria dell’uomo, materia ideale per far emergere la convinzione della Kopatchinskaja che solo passando attraverso l’esperienza del buio, del negativo si può scorgere e capire la bellezza del mondo. Senza questa coscienza, la bellezza non è altro che una noiosa forma di esperienza estetica. Una visione così netta e radicale ha bisogno di essere sostenuta da un’intesa profonda con gli artisti con cui collabora, e quindi sarà interessante l’incontro con il direttore Marc Albrecht, un musicista innamorato, come lei, della musica nuova e disposto a rompere gli schemi per trovare la pepita d’oro nascosta nel cuore della partitura.
Oreste Bossini