A pochi giorni dalle elezioni politiche, il concerto n. 13 della stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai torna sul tema forse più caldo della campagna elettorale, la tragedia dei migranti e il problema dell’accoglienza. Il movimento epocale di popolazioni arabe e africane verso l’Europa, infatti, è lo sfondo del lavoro commissionato da quattro principali istituzioni sinfoniche italiane (Orchestra Filarmonica della Scala, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino) al maestro ungherese Peter Eötvös, che sarà a Torino anche nelle vesti di direttore d’orchestra.
Alle vittime senza nome è il drammatico racconto di uno dei tanti viaggi verso un mondo migliore concluso invece in fondo al Mar Mediterraneo, solcato tutti i giorni da fatiscenti imbarcazioni stracolme di disperati senza nome accalcati l’uno sull’altro. Nel movimento centrale, per esempio, il netto ticchettio delle percussioni è un chiaro riferimento all’alfabeto Morse, e al segnale di soccorso lanciato da una nave in difficoltà. Il tema della migrazione è sentito in maniera particolare da Eötvös, che ha dovuto lasciare da giovane l’Ungheria per potersi esprimere liberamente.
L’autore, tuttavia, ci tiene a precisare che non aveva proprio l’intenzione di scrivere un Requiem, che è una forma di ricordo tipica della musica occidentale, ma piuttosto di esprimere le sofferenze e le tragedie di persone di altre culture. La struttura ritmica, infatti, sostiene il peso più rilevante dei tre movimenti, suggerendo all’autore l’idea di aver composto, forse per la prima volta nella storia della musica, un “requiem danzato”, rendendo così omaggio alle vittime riconoscendo il valore delle loro forme espressive. Che lo dica un grande artista ungherese è particolarmente significativo, visto l’atteggiamento chiuso e gretto del governo attuale del suo Paese verso tutto ciò che è diverso e cosmopolita.
Il patriottismo di Eötvös, tuttavia, è fuori discussione, come dimostra in maniera eloquente il resto del programma. Accanto al suo nuovo lavoro, infatti, la locandina riporta due titoli del grande repertorio ungherese del Novecento, le Danze di Marosszék di Zoltán Kodály e la pantomima in un atto Il Mandarino meraviglioso di Béla Bartók. Il primo è una brillante partitura ispirata all’inesauribile patrimonio della musica rurale ungherese, che Kodály ha studiato fianco a fianco con Bartók fin dagli inizi del secolo. Il mandarino meraviglioso, invece, è un esplosivo lavoro teatrale nato negli anni convulsi e ardenti del primo dopoguerra, su un soggetto scandaloso che ne ha impedito per molti anni la circolazione. La musica languida, violenta, fantastica e dissonante di Bartók si avvicina alle tendenze espressioniste dei primi anni Venti, ma con una forza narrativa che si sprigiona con plastica evidenza anche dalla semplice esecuzione in forma di concerto.
Oreste Bossini