Rai Nuova Musica, breve ma preziosa rassegna dedicata alla musica contemporanea nell’ambito della stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, si articola quest’anno in tre appuntamenti, ciascuno con un profilo specifico, distribuiti fra novembre e febbraio.
È quello conclusivo (22 febbraio 2019) a viaggiare più indietro nel tempo, fino allo Schönberg giovane che spinge il linguaggio tardo romantico alle estreme conseguenze (oltre le quali verrà la Dodecafonia) nel poema sinfonico Pelleas und Melisande op. 5, accostato a un autore che accolse in modo estremamente personale, più come spirito che come tecnica, la successiva lezione schönberghiana, Goffredo Petrassi. Il suo Concerto per flauto, audace e dall’inventiva finissima, fu dedicato a Severino Gazzelloni, di cui l’appuntamento Rai celebra così il centenario della nascita (con il primo flauto dell’orchestra, Giampaolo Pretto, in veste di solista e la direzione di Aziz Shokhakimov, già protagonista della scorsa edizione di Rai NuovaMusica).
L’appuntamento del 24 gennaio 2019 propone invece le musiche più propriamente contemporanee della rassegna, portando sul podio il compositore cinese Tan Dun, premio Oscar e Leone d’oro alla carriera, ma soprattutto straordinario talento nel far dialogare tradizione e innovazione, Oriente e Occidente, arte e natura.
Per Rai Nuova MusicaTan Dun dirigerà due composizioni proprie: il più recente The Tears of Nature (2012), uno spettacolare concerto per percussioni (il solista sarà Simone Rubino) in tre movimenti ispirati ad altrettante catastrofi naturali, e il suo brano forse più noto e suggestivo, The Map (2003) in cui orchestra sinfonica e violoncello solista dialogano con frammenti di riprese audiovisive di musiche tradizionali cinesi.
Il dialogo creativo con le forme della musica tradizionale è anche uno dei fili che legano fra loro i tre autori dei brani in programma nel concerto inaugurale della rassegna (9 novembre 2018, direttore Heinz Holliger), i tre ungheresi Béla Bartók, György Kurtág e György Ligeti.
Bartók compose il suo Concerto per orchestra tardi (aveva sessantatré anni e morirà due anni più tardi, nel 1945), durante il sofferto esilio americano, su commissione della Fondazione Koussevitsky a cui il brano è dedicato, e se qualche critico surcilioso lo giudicò troppo compiacente verso il gusto del pubblico statunitense, Massimo Mila trova invece un empito di tenerezza nel modo in cui qui l’autore, attraverso il recupero di echi di musiche magiare e tzigane, abbraccia il ricordo della patria lontana e devastata dall’orrore hitleriano.
Tanto Kurtág quanto Ligeti portano nella loro musica la lezione di Bartók ed echi della tradizione folclorica ungherese, filtrati tuttavia attraverso l’esperienza delle avanguardie successive e ciascuno elaborando un linguaggio intensamente personale. Stele (spesso indicato in caratteri greci, ΣΤΉΛΗ) è la prima composizione sinfonica di ampio respiro di Kurtág, che la scrisse nel 1994, a sessantotto anni, per i Berliner Philharmoniker e Claudio Abbado, partendo da un brano pianistico dell’anno precedente, in morte dell’amico e musicista András Mihály. È una musica commemorativa e tuttavia mai sentimentale, austera e insieme luminosa, con un culmine espressivo nel movimento centrale, quando la violenza disperata della musica si arresta in un momento di repentina immobilità affidato a flauti, tuba e pianoforte, un momento che Kurtág voleva suonasse come il momento in cui, in Guerra e pace, il principe Andrej è per la prima volta ferito durante la battaglia di Austerlitz e all’improvviso smette di udire i suoni della battaglia e tutto il suo sentire si concentra nel cielo azzurro che lo sovrasta.
Ligeti cominciò a lavorare al suo Concerto per pianoforte nel 1980 e lo completò otto anni più tardi, scrivendolo per il pianista americano Anthony di Bonaventura che ne fu il primo esecutore, ma è senza dubbio Pierre Laurent Aimard, che sarà il solista a Torino, l’interprete di riferimento di questa composizione. Il pianista francese ha un’affinità profonda con la musica di Ligeti, che gli affidò, a partire dai primi anni Novanta, le prime esecuzioni di molte sua pagine per la tastiera, dichiarandosi ispirato nel comporre proprio dallo stile di Aimard. Il quale a sua volta professa fascinazione e capacità di farsi sorprendere ogni volta dall’originalità, dalla chiarezza comunicativa nell’estrema complessità di pensiero nonché dalla potenza poetica e immaginifica della musica di Ligeti. Aimard ha non solo eseguito più volte alla tastiera il Concerto per pianoforte (di cui ha all’attivo anche tre diverse registrazioni), ma l’ha anche diretto; lo conosce dunque in ogni suo aspetto e ne comprende fino in fondo la complessità di scrittura che sa restituire esecutivamente facendo emergere in maniera unica la molteplicità dei piani sonori, ritmici e temporali.
Gaia Varon