«Vi presento la mia visione intima della musica di Chopin»
Intervista ad Alexander Gadjiev

Ad aprile ritorna a Torino Alexander Gadjiev, il pianista goriziano che nel mese di ottobre 2021 ha ottenuto il secondo premio alla XVIII edizione dell’International Fryderyk Chopin Piano Competition, il prestigioso concorso dedicato interamente a Chopin che si svolge a Varsavia dal lontano 1927. Non solo: Gadjiev ha ottenuto anche il “Premio speciale Krystian Zimerman per la miglior esecuzione di una Sonata”.
Nelle serate di giovedì 28 (ore 20.30) e del venerdì 29 (ore 20) aprile prossimi, presso l’Auditorium della RAI, potremo ascoltarlo nell’esecuzione del Concerto in fa minore per pianoforte e orchestra n. 2 op. 21 di Chopin con l’OSN RAI, diretta da Fabio Luisi, che completerà il programma con la Fantasia sinfonica in sol maggiore op. 16 Aus Italien di Richard Strauss.

Maestro Gadjiev, vuole raccontarci la recente esperienza al Concorso Chopin?
«Partecipare a questo concorso è un’esperienza davvero “immersiva” e totalizzante. In un certo senso si entra in uno spazio-tempo un po’ diverso in cui il resto del mondo sembra essersi fermato e un’ottantina di partecipanti si ritrovano in un universo parallelo di prove, studio, concentrazione, di focus massimo: un mese intenso di musica in una sala dalla storia ricchissima. Dobbiamo ricordare infatti che il Concorso ha quasi cent’anni di storia – un secolo per un concorso è una cosa quasi unica – e ha visto vincitori che hanno poi intrapreso una brillante carriera diventando famosissimi. Il pubblico di Varsavia è ben conscio di questo e si comporta di conseguenza, è molto partecipe. È sicuramente una sorta di terzo fattore in campo. Durante le fasi del concorso sembrava che anche tutta la città vivesse insieme a noi: tante persone ci fermavano per strada, esprimevano ammirazione, davano supporto, inviavano messaggi di riconoscimento… Fuori dalla Filarmonica c’era sempre una folla molto numerosa e i biglietti erano sempre esauriti, già dalla prima prova. L’atmosfera in sala era elettrizzante in un modo mai provato prima».

Con l’OSN della Rai suonerà il Concerto in fa minore, che ha eseguito nella prova finale del Concorso. Ci dice il motivo della scelta del secondo Concerto piuttosto che del primo, in mi minore, che forse dei due è il più noto?
«Il motivo deriva dalla scelta di un percorso personale con un programma legato a una visione più intima della musica di Chopin, e il Concerto in fa minore ritengo ne sia l’esempio più rappresentativo. Il primo è chiaramente musica meravigliosa, ma si presenta in maniera molto più maestosa, più eroica, drammatica; il Secondo, che da sempre sento più vicino, ritrae invece una visione più poetica, più interiore e… sfaccettata. Lo ritengo più ricco di dettagli e di possibilità espressive. Pur essendo un lavoro giovanile, è un’opera di grandissima intuizione, ricca di contrappunto, di polifonia; soprattutto il primo tempo ha momenti che ricordano una suite per violoncello, o una sonata per violino di Bach, con più voci sottintese – frutto della grande conoscenza e dell’amore che Chopin nutriva nei confronti della musica di questo compositore –, ma nello stesso tempo prelude a un’estetica di grande libertà e di grande necessità espressiva. E poi trovo veramente meraviglioso il secondo movimento, il Larghetto, che ricorda molto il canto belliniano. Il Concerto si conclude con un tempo di danza, quasi un Valzer, di grande raffinatezza ed eleganza. E quindi sì, l’ho ritenuto più consono e ho optato per questo. E sono molto felice di portarlo a Torino».

Lei ha avuto occasione di suonare un pianoforte Pleyel, lo strumento prediletto da Chopin. Quali sono le differenze tecnico-acustiche rispetto agli altri pianoforti?
«Sì, mi è già capitato, e tra l’altro il mese prossimo, prima del concerto a Torino, ho in programma una registrazione per la BBC con il Consone Quartet per la quale avrò a disposizione un Pleyel: proprio l’ultimo pianoforte che ha suonato Chopin, quello su cui ha eseguito la prima della Sonata per violoncello. Questo pianoforte fa parte di una collezione che si trova poco fuori Londra, ricchissima di strumenti antichi. Suonare un Pleyel è una bellissima esperienza! Non tanto dal punto di vista strumentale, quanto dal punto di vista della timbrica e del suono in sé. È veramente un altro mondo: moltissimi particolari e sfumature che risultano più difficoltosi con un pianoforte moderno lì è come se si risolvessero automaticamente. L’uso del pedale, per esempio, diventa molto naturale, come se non ce ne fosse né troppo né poco; raggiunge il giusto equilibrio. Poi non ha quello staccato cortissimo, che invece conosciamo sugli altri pianoforti; i suoni hanno sempre una piccola eco, una piccola ombra che fa sì che il legato e il cantabile (che sono la quintessenza della musica di Chopin) assumano un’altra dimensione, un’altra scorrevolezza».

Il fatto di essersi immerso così tanto in un unico autore per questo concorso rende Chopin uno dei suoi autori preferiti? Ha un repertorio che predilige?
«Chopin per un pianista è sicuramente una pietra miliare e senza dubbio ha un posto unico nella mia fruizione, non solo come esecutore, ma anche come ascoltatore. Ho sempre avuto con questo autore un rapporto che sta fra l’estrema vicinanza e una sorta di leggero distacco. Quella di Chopin è una musica completamente “personale”: c’è quasi la sensazione che possa essere addirittura troppo intima, un po’ come quando Leopardi scava dentro di sé in modo molto profondo. Quando la si studia molto si entra nel mondo di emozioni e di sensazioni appartenute alla natura stessa di Chopin, mentre la musica di altri autori generalmente mi fa pensare a concetti ideali, più universali. Un altro autore che sento molto vicino è Schumann. E poi tutta la musica russa, con compositori come Prokof’ev, Scriabin, Čajkovskij… forse anche per via delle mie origini».

Nella sua carriera ha ricevuto premi importanti – ha vinto il Concorso di Hamamatsu (Giappone) nel 2015, il Montecarlo “World Piano Masters” nel 2018, il Concorso Internazionale di Sydney nel 2021 – e allo stesso tempo svolge una ricca attività concertistica. Quale dei due aspetti dell’attività predilige?
«Dopo il Concorso Chopin – un’esperienza così ricca che ti cambia la vita – credo non ci sia nient’altro che si possa voler tentare. Quindi la mia attività concorsistica si chiude qui. È stata la mia ultima esperienza, ed effettivamente mi ha cambiato. Quanto ai due aspetti dell’attività, in realtà per me non c’è differenza dal punto di vista dell’esecuzione in concerto o durante un concorso; tuttavia, il modo in cui le due esperienze vengono vissute effettivamente è diverso. Quello del concorso è un mondo particolare. Io ho sempre cercato di viverlo come un momento in cui ci si mette alla prova. È un’atmosfera non tanto di libertà e di ricerca, quanto di grande concentrazione, di raccoglimento delle proprie energie e culmine del proprio percorso, mentre quello del concerto è un momento anche di dono, di comunione, cui ci si approccia anche con una certa curiosità, perché c’è sempre un fattore di incertezza che dipende dal pubblico, dalla propria giornata, da come ci si sente. In un concorso, invece, si tenta di essere al massimo e nient’altro».

Suppongo che il futuro sarà ricco di concerti…
«Sì, mi aspettano due lunghe tournée: una in Giappone e una, di quasi due mesi, in Australia, come conseguenza della vittoria al Concorso di Sydney. Inoltre ho in programma diversi concerti in Italia (a Bologna, Milano, Torino fra gli altri) e in Europa, con progetti di musica da camera (in particolare con il violista inglese Timothy Ridout e in quintetto) e con l’orchestra: per esempio eseguirò il Terzo Concerto di Rachmaninov al Festival di Lubiana a luglio, e il Terzo di Prokof’ev qui a Berlino, dove attualmente vivo».

Donatella Meneghini