Un inedito dittico tutto mediterraneo attende il giovane e già affermato Andrea Battistoni per il suo ritorno al Teatro Regio di Torino dal 12 al 22 giugno: il nuovo allestimento del capolavoro verista di Pietro Mascagni, Cavalleria rusticana, diretto da Gabriele Lavia e la prima assoluta della creazione coreografica La giara, su musiche di Alfredo Casella, ideata da Roberto Zappalà e rappresentata dalla Compagnia Zappalà Danza.
Enfant prodige della bacchetta, con una formazione da violoncellista che coltiva con il suo B-Side Trio, Battistoni è chief conductor della Tokyo Philharmonic Orchestra dal 2016 e direttore principale del Teatro Carlo Felice di Genova dal 2017.
Maestro, Cavalleria rusticana è una storia di amore e morte ambientata in una Sicilia che non esiste più. Qual è il segreto della sua longevità?
Il segreto di Cavalleria risiede non solo nel fascino che questo tipo di vicende “di corna e di coltello” ha sempre avuto sul pubblico operistico ma anche nella freschezza inesauribile del trattamento musicale. La partitura è una macchina dal ritmo inesorabile: possiede un’urgenza di spirito che si traduce perfettamente nella musica abbinata alle parole. Certo, l’impianto affonda ancora le radici nella tradizione melodrammatica italiana, ma l’originalità di Mascagni si fa già notare nella violenza espressiva che addita i futuri sviluppi delle avanguardie novecentesche. Non è un caso che, sin dall’inizio, l’opera abbia mietuto successi in Austria e in Germania: molti lavori proposti successivamente da Strauss non sarebbero stati possibili senza Cavalleria.
Cavalleria è considerata però il manifesto del Verismo musicale…
Cavalleria è opera del Verismo più in virtù del libretto ricavato da Verga che per effettiva aderenza alla scuola musicale verista. Le aspirazioni di Mascagni penetrano i moti più profondi di una classe proletaria dai sentimenti elementari e violenti; l’“animalità” delle passioni in scena richiede uno stile vocale molto sfogato, che spinge verso il registro acuto. Ma sono tutte novità che farà proprie la Giovane Scuola, cui aderiscono, oltre a Mascagni, autori come Leoncavallo, Cilea, Giordano e Puccini. I loro titoli intercettano ancora oggi il gusto del pubblico perché possiedono quella rara abilità di fare storytelling con la musica e col canto, che il cinema ha ereditato con la sua immediatezza nel raccontare storie.
Nella Giara che lettura offre Casella del Sud di Pirandello?
Casella ripensa il folklore meridionale – già trasfigurato in chiave grottesca da Pirandello – secondo i mezzi della musica d’arte più avanzata. Con un organico neanche troppo nutrito ricava una varietà di colori affascinante che, se nell’introduzione e nei brani più notturni è attratta da atmosfere veriste, altrove si richiama apertamente alla bitonalità e ai ritmi sghembi dell’arte di Picasso. La giara è un gioiello delle avanguardie cosmopolite degli anni Venti: il suo linguaggio spigoloso, motoristico, meccanico si richiama a Stravinskij, mentre la spontaneità della sua anima nazionale non è altro che una scusa inventata da Casella per mettere in scena il proprio credo musicale in una prospettiva europea.
Valentina Crosetto