Con il suo prezioso violino Giovanni Battista Guadagnini – realizzato a Torino nel 1772, anno in cui Mozart stava scrivendo il suo Divertimento K. 136 – il maestro Sergey Galaktionov, primo violino dell’Orchestra del Teatro Regio Torino e questa volta impegnato anche come direttore, ci catapulta, con triplo salto carpiato, da Salisburgo (e dalle composizioni di Mozart sedicenne) alla Vienna del 15 gennaio 1899 (Mahler ha 39 anni). Tra i due, a far da sparring partner, Beethoven.
Sul pianeta Mozart il Divertimento per archi, in un disteso re maggiore, è una composizione dai chiari giochi armonici che ha quasi la trasparenza dell’acqua. Forse Mozart non è mai stato “giovane”: a quel tempo, appena tornato dai suoi tre celebri viaggi in Italia, il genio salisburghese era già ben ricco di esperienze. La sua vita è indistricabilmente connessa al violino. Allievo del padre, autore di un celebre Metodo per lo strumento, il ragazzo prodigio con il suo Concerto n. 1 in si bemolle maggiore K. 207 (primo di cinque e finito, secondo il manoscritto, il 14 aprile 1775, ma retrodatabile, secondo studi recenti, al 1773), cercava di compiacere il padre che lo avrebbe voluto violinista, e l’arcivescovo Colloredo, suo fresco datore di lavoro. Un primo movimento ricco d’inventiva, uno centrale cantabile, e una conclusione vivace: qui si parla ancora la lingua di un equilibrato Classicismo.
L’idea di adattare per orchestra il Quartetto per archi op. 95 di Beethoven – non sappiamo perché avesse scelto proprio quello – venne a Mahler mentre dirigeva i concerti dei Wiener Philharmoniker. L’impaginazione originaria del concerto prevedeva il Quartetto trascritto dal Mahler, la Prima sinfonia di Schumann e l’Ouverture 1812 di Čajkovskij. Brano di raro e prezioso ascolto, questa trascrizione infonde in Beethoven l’irrequietezza dal retrogusto amarognolo di Mahler, colandola nelle forme tipiche di quest’ultimo.
Collega di Mahler all’Opera di Corte di Vienna, il celebre direttore d’orchestra Bruno Walter, impressionato dalle sue interpretazioni beethoveniane (Leonore III, il Fidelio, l’Ouverture del Coriolano e persino dai poco felici ritocchi alla Nona Sinfonia), ebbe a notare come suonasse nuovo, diverso: «Il Beethoven di Mahler non aveva niente in comune con il classico pulito, eseguito in ogni tempo da ogni buona organizzazione concertistica». Una ragione in più per andare ad ascoltare il concerto mercoledì 25 marzo (Teatro Regio, ore 20.30)!
Benedetta Saglietti