Dai grandi classici a Chaplin, tutte le nuance dei Concerti del Regio

Il processo di crescita di qualsiasi orchestra passa attraverso lo scambio assiduo di esperienze con direttori d’orchestra importanti e con pagine sinfoniche in grado di stimolare, per peso specifico musicale o per caratteristiche di novità, la tensione del gruppo. In questo senso, quella che si apre il prossimo 27 ottobre e che terrà compagnia al pubblico del Teatro Regio fino a primavera inoltrata, è una stagione di concerti esemplare, carica di premesse interessanti e di ambizioni plausibili.
A testimonianza di ciò, si pongono la presenza di vari direttori considerati, a ragione, autentici riferimenti del panorama internazionale e, non meno decisiva, l’intelligente scelta di repertorio attuata in funzione delle attitudini dei due ensemble coinvolti. Non è un caso, appunto, che Orchestra e Coro del Regio si prepari alla ricognizione dei grandi classici, mentre la Filarmonica Teatro Regio Torino si concederà puntate intriganti in ambiti anche meno convenzionali. Ognuno, insomma, inseguendo la propria vocazione e consolidandola, per proseguire in un percorso di crescita ineludibile che al pubblico regali prospettive d’ascolto gratificanti.
L’incipit della stagione è sontuoso, con quel Requiem tedesco di Brahms che diventa sublime banco di prova per le masse artistiche del Teatro, dirette da Pinchas Steinberg. Il finale, invece, seguendo una prassi diventata familiare, è all’insegna del gioco, grazie al concerto “al buio” presentato da Gianandrea Noseda.
Valery Gergiev e Vladimir Ashkenazy, moderni epigoni della straordinaria scuola russa, appaiono come punte di diamante all’interno di un cast reso illustre, ancora, dalla presenza di Michele Mariotti, sempre più in sintonia con l’Orchestra del Regio. E se Ashkenazy si cimenta con l’amatissima Decima di Šostakovič, il direttore pesarese propone il suggestivo Requiem di Faurè, uno dei molti gioielli di una stagione che al repertorio francese, carico di virtuosismo orchestrale, guarda con attenzione specifica.
C’è spazio, ancora, per la musica di confine, cara a tanto pubblico del terzo millennio, scritta ed eseguita da Ezio Bosso, ma anche per gli Swingle Singers, che consideriamo un monumento vivente alla voce. Chi vorrà rivivere atmosfere classiche e suggestioni romantiche, potrà contare su Mendelssohn o Čajkovskij. Per chi, invece, cercasse nella musica piaceri più lievi, ecco un viaggio poetico nel mondo di Charlot, sotto la guida dello specialista Timothy Brock. Non c’è che l’imbarazzo della scelta, insomma.

Stefano Valanzuolo