Dal Nuovo Mondo… per un mondo nuovo

New York, Music Hall, 21 ottobre 1892: una locandina annuncia un «Grand Concert under the auspices of the National Conservatory of Music and First Appearance in the United States of Dr. Antonin Dvořák». In programma, vista la concomitanza con il quarto centenario della scoperta dell’America, anche un discorso del Colonnello Th. W. Higginson dal titolo Due Nuovi Mondi. Il Nuovo Mondo di Colombo e il Nuovo Mondo della Musica. Parole profetiche?

Un anno dopo, il 16 dicembre 1893, nella stessa Carnegie Hall, vede la luce la Sinfonia in mi minore op. 95, (Dal Nuovo Mondo), grandioso e brillante affresco, erede del sinfonismo classico europeo, frutto della predisposizione di Dvořák nei confronti delle musiche tradizionali; un seme già contaminato dal folclore cèco che, impiantato nel nuovo continente, si arricchisce di elementi “indigeni” e ne ripropone lo spirito: non citazioni, non temi della tradizione, ma suggestioni raccolte nelle comunità afro-americane e presso i nativi d’America.

Invitato a New York per dirigerne il Conservatorio e per dare impulso a una scuola nazionale sulla scia di quelle europee, Dvořák offrì, con la sua opera, uno stimolo alla nuova generazione di compositori locali a ricercare le radici di quel preannunciato nuovo mondo della musica nei canti ­– in particolare gli spiritual – che egli stesso aveva contribuito a valorizzare.

Un graduale processo di autoaffermazione vedrà infatti, nel corso del Novecento, l’emergere di figure interessanti e originali (Ives, Gershwin, Copland, solo per citarne alcuni); fra tutti, Leonard Bernstein spicca come «il più completo quanto geniale musicista che la giovane storia del “Nuovo Mondo” abbia mai avuto in dono» (E. Castiglione). Direttore d’orchestra, pianista, compositore, didatta, saggista, divulgatore di cultura. Catalizzatore di un secolo di fervente attività, ha sviluppato uno stile compositivo personale – spiccata melodicità sostenuta da ricchi effetti coloristici, metrica varia e irregolare, fedeltà alla tonalità – il cui fine ultimo è comunicare.

Così la spumeggiante e ottimistica Ouverture di Candide, su testo di Voltaire, anticipa l’ironia con cui l’opera ribalta con eleganza e gioia di vivere il pensiero leibniziano del «qualunque cosa accada, stiamo vivendo nel migliore dei mondi possibili», mentre i bellissimi Chichester Psalms, («La partitura più tonale che abbia mai composto»), rivelano il Bernstein più autentico: quello che attinge alla tradizione del canto ebraico e la esprime con voce solistica e corale; un intrecciarsi di salmi biblici, attraverso lode, meditazione e fiducia, guidano l’ascoltatore verso la speranza di un mondo nuovo in compagnia dell’Orchestra e Coro del Teatro Regio diretti da Pinchas Steinberg.

Donatella Meneghini