«Della Bohème adoro quel clima soffuso e avvolgente di malinconia nel quale Puccini sembra voler celebrare l’addio alla giovinezza. Adoro la passione con la quale i protagonisti si tuffano, nonostante tutto, nelle proprie vite. Adoro l’orchestrazione, geniale, che non assomiglia a nessun’altra e prende corpo attraverso migliaia di colori, di sfumature irripetibili».
Daniel Oren, come si vede, ha una predilezione dichiarata per l’opera di Puccini, testimoniata da molte serate felici vissute dal podio, anche al Regio.
«Un ricordo soprattutto – racconta il direttore – resta chiaro nel mio cuore e nella mia testa: penso a La bohème del bicentenario, nel 1996, con Pavarotti e la Freni. Uno spettacolo indimenticabile, costruito passo passo insieme ai cantanti. Per me fu un’esperienza emozionante, una lezione sul canto e sulla musica».
Oggi che non esistono più voci leggendarie del calibro di quelle appena citate, come si mette in scena La bohème?
«Lavorando sui giovani e con i giovani: ce ne sono parecchi, per fortuna, meritevoli di essere portati alla ribalta. Sono scomparsi – è vero – i grandi artigiani della voce, fuoriclasse dal carisma irripetibile; ma abbiamo cantanti preparati tecnicamente e molto dotati, proprio come quelli che abbiamo scelto per questa nuova edizione».
Eppure, altrove capita ancora che il direttore d’orchestra debba fare di necessità virtù, accontentandosi del materiale a disposizione…
«Ai giorni nostri, qualche volta, effettivamente succede. Ma la riuscita di uno spettacolo appare sempre legata, in maniera decisiva, alla possibilità che il direttore contribuisca a definire il cast, sulla base della linea interpretativa che ha in mente. Non è un vezzo, è una necessità!»
La bohème che sta per debuttare a Torino riprende scene e costumi della storica prima del 1896…
«Mi sembra una scelta stimolante! Ci sono titoli, secondo me, che si prestano senza affanni a chiavi di lettura diverse e alternative (penso a Don Giovanni o Falstaff, tanto per fare due nomi), e altri che, invece, poggiano saldamente sulla tradizione, poiché raccontano storie ed emozioni ben precise. La bohème fa parte di questo secondo lotto: per cui, ben venga la rievocazione classica».
Per fare le cose in regola, ci vuole anche il regista giusto…
«Si capisce. Il regista ideale, dal mio punto di vista, è quello che riesca a calarsi nello spirito dell’autore, che senta la musica e lavori a stretto contatto con il podio. Io ho avuto il privilegio di lavorare con grandi maestri, veri cultori del buon gusto. Zeffirelli, in questo senso, è stato un genio!»
Qual è il suo obiettivo principale, a confronto con quest’opera?
«Quello di cogliere, attraverso la musica e preservando la finezza della scrittura, il meraviglioso senso di irruenza emotiva che appartiene a La bohème, cercando un’identificazione con i personaggi, con il loro tratto più istintivo. Tutto questo, secondo me, equivale ad avere rispetto di Puccini, semplicemente».
Dica la verità: si diverte ancora a dirigere un titolo che conosce, ormai, a memoria?
«Certamente sì, guai se così non fosse… Da bambino pensavo che il pittore fosse il più fortunato tra gli artisti, potendo trarre dalla propria tavolozza di colori migliaia di impasti espressivi differenti. Ma poi ho scoperto che il direttore d’orchestra lo è assai di più perché, grazie alla magia della musica, ne ha a disposizione milioni. Questo valore aggiunto rende il mio compito non complicato, ma prima di tutto affascinante e, appunto, molto divertente!»
Stefano Valanzuolo